Citazione spirituale

Popolo e cultura

di

Tello Rafael

 


Copertina di 'Popolo e cultura'
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EAN 9788825049251

Disponibilità immediata
In promozione
Descrizione
Allegati: Leggi un estratto
Tipo Libro Titolo Popolo e cultura Autore Editore Edizioni Messaggero EAN 9788825049251 Pagine 248 Data febbraio 2020 Collana Studi religiosi
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RAFAEL TELLO




POPOLO
E CULTURA

Prefazione di
Papa Francesco
Titolo originale: Pueblo y cultura I.
ISBN: 978-950-546-207-0
Copyright © 2011 by Cooperativa de Trabajo EDITORA PATRIA GRANDE
Buenos Aires ' Argentina
www.editorapatriagrande.com
2011 FundaciÓn Saracho, Argentina
www. fundacionsaracho.org.arg




Traduzione di Alejandro Palacios Vázquez




ISBN 978-88-250-4925-1
ISBN 978-88-250-4926-8' (PDF)
ISBN 978-88-250-4927-5' (EPUB)

Copyright © Libreria Editrice Vaticana 2020
per la Prefazione di Papa Francesco.
Copyright © 2020 by P.P.F.M.C.
MESSAGGERO DI SANT'ANTONIO ' EDITRICE
Basilica del Santo - Via Orto Botanico, 11 - 35123 Padova
www.edizionimessaggero.it
Grande mistero nel «tempo di Dio», che è eterno, Egli ha pen-
sato a includere il tempo storico della creazione. La storia della
creatura abita l'eternità dell'amore misericordioso di Dio. Dio ha
«avuto tempo» per le sue creature, per tutti noi e non smette di
arrivare a noi per darci vita ogni giorno.
Da quando Dio si è fatto «Chiesa», sacramento della sua pre-
senza di salvezza e liberazione, essa non ha cessato di rivelare
nei suoi segni, nei suoi contenuti e nei suoi metodi questi prin-
cipi della nostra fede. Questi contenuti della fede si rispecchia-
no - quindi - nella teologia, la riflessione credente. La Chiesa
è chiamata ad essere sacramento delle dinamiche salvifiche di
Dio-Trinità, e la teologia coglie queste dinamiche divino-umane,
eterne e storiche, e le propone al mondo per orientare tutto e tutti,
per orientare la vita verso una vita piena.
Rafael Tello (1917-2002), un teologo argentino, nella sua
opera teologico-pastorale, volle fare trasparente la dinamica
della comunicazione di Dio verso la sua creazione, la dinamica
stessa della Storia della salvezza: il Dio che continuamente si
esternalizza per arrivare al mondo, rivelare in esso il suo Amore,
e dargli vita.
Per questo motivo egli concepì la sua teologia non separata
dall'azione pastorale, anzi, manifestata principalmente in essa.
Egli è stato un classico e ortodosso teologo della Chiesa, ma for-
se azzardato nelle sue conclusioni teologico-pastorali, nelle quali
sottolinea la magnanimità dell'Amore di Dio che si rivolge con

5
priorità alle sue creature più deboli, alle persone semplici e disa-
giate. Non solo arriva prima di tutto ai piccoli di questo mondo,
ma lascia in loro la sua impronta: letteralmente si rivela, esprime
se stesso nella loro «cultura» in modo spontaneo, ma non meno
autentico. Tello ha fatto una particolare opzione per i poveri, che
egli lega (relaziona) specialmente al concetto (categoria) di pue-
blo (popolo) e quindi di «cultura popolare».
Per Tello, il pueblo è un luogo teologico dove il messaggio
di Cristo viene comunicato con una particolare trasparenza pur
nella sua semplicità. Per questo Tello teologo, piuttosto che ap-
poggiarsi sulla cultura illuminista moderna o sulle sottigliezze
accademiche o ecclesiastiche, preferisce guardare e fare atten-
zione prioritariamente alla cultura del popolo. Per lui, il Vangelo
e gli insegnamenti della fede possono essere più vitali proprio
nel seno della cultura popolare. In questo schema il pensiero de-
ve avvenire non da una teorizzazione di scrivania, ma dal «di
dentro» della cultura, dalla semplicità degli umili, dalla fede dei
poveri in quanto speciali mediatori della presenza di Dio.
La domanda di Tello non era principalmente «come parlare
del Dio nella sua immanenza», ma piuttosto «come avvicinare la
Chiesa istituzionale e la sua opera evangelizzatrice al cuore degli
uomini», domanda che lascia intravedere il rischio per la Chiesa
di rimane lontana dallo stesso popolo, lontana dalle amorevoli
dinamiche di Dio. Una teologia, quindi, al servizio dell'evan-
gelizzazione, che parte dal riconoscere il popolo di Dio come
soggetto della Storia della salvezza e come «luogo privilegiato»
di manifestazione del cuore di Dio.
Così la teologia diventa pastorale, e la pastorale teologia: una
pastorale popolare come «metodo» perché la Chiesa possa assi-
curarsi di arrivare a tutti, proprio perché arriva preferenzialmente
ai piccoli, ai poveri, alle persone comuni, agli ultimi. Arrivare
non solo per trasmettere l'amore di Dio e la sua grazia, ma anche
per scoprire in loro i tratti della presenza del Signore della storia.
Quest'ultima caratteristica spiega il perché Tello fa pure un'op-
zione pastorale preferenziale per la cultura popolare: egli sa che
in essa abita, vive e si esprime il «cuore» del popolo, e in quel
cuore abita in modo semplice ma profondo lo stesso Dio.

6
Arrivare al cuore del popolo semplice, come Dio arriva da
sempre alle creature, pur nella loro debolezza creaturale. Così
l'opzione per i poveri implica per il nostro teologo accompa-
gnare e animare senza stancarsi il modo di vivere la fede dei
più umili; stabilire con loro un dialogo salvifico, uno scambio
di apprendimento e di generosa dedizione nel nome di Dio e del
Vangelo.
Per ultimo, Rafael Tello non dimentica nella sua teologia
pastorale la necessità di promuovere e coinvolgersi nella libe-
razione integrale del popolo, dei singoli, delle nazioni e della
stessa creazione, del nostro habitat. Lo fa senza appoggiarsi sulle
ideologie né sui settarismi politici ma sul Vangelo: l'evangeliz-
zazione s'interessa della vita concreta dei poveri, così come Dio
assunse la storia concreta delle nazioni in Cristo, nella sua incar-
nazione.
Contemplare Dio, la sua Parola, e contemplare il pueblo e
la sua cultura. Ecco le chiavi di questo libro che ci invita a una
speciale sensibilità e a una risposta di amore.


Città del Vaticano, 2 febbraio 2020




7
PROLOGO




Presbitero, professore, teologo, pastoralista, pensatore. Ci so-
no molte qualifiche che possono essere usate per presentare una
personalità tanto ricca e complessa come quella di Rafael Tello1.
Prima di tutto bisogna dire che è stato uno che si è donato con
tutte le sue energie a Dio nel servizio della Chiesa e del popolo
argentino. Era un uomo saggio, che sapeva come pensare le cose
della vita alla luce dell'amore di Dio e della sua azione salvifica.
Questa saggezza evangelica, che affascinava coloro che lo co-
noscevano, può essere contemplata in modo eminente nella sua
riflessione teologica.
La sua opera offre una prospettiva teologica sulla realtà la-
tinoamericana, coniugata con gli elementi più ricchi della tra-
dizione della Chiesa. Com'è stato detto in un precedente studio
sulla riflessione teologica in Argentina, «siamo di fronte a uno
dei pensatori più originali, creativi e fecondi che la nostra tradi-
zione teologica abbia avuto»2.
Nonostante sia stato uno scrittore prolifico, poche sono le
cose che si conoscono su di lui. Ciò è dovuto alle particolari
circostanze della sua vita. In essa vi sono due fasi chiaramente
delimitate: un primo periodo caratterizzato dalla sua azione ec-
cezionale nella Chiesa argentina, in cui è stato professore presso

1'
Dati biografici: Rafael Tello nacque a La Plata il 7 agosto 1917. Nel
1944 ottenne il titolo di avvocato. Il 23 settembre 1950 ricevette l'ordinazione
sacerdotale e nel 1958 è designato professore presso la Facoltà di Teologia di
Buenos Aires. Tra il 1966 e il 1973 svolse il ruolo di esperto presso la Com-
missione Episcopale per la Pastorale. Nel marzo del 1979 si ritira dalla vita
pubblica della Chiesa. Morì il 19 aprile 2002.
2'
M. González, La reflexión teológica en Argentina (1962-2004). Apun-
tes para un mapa de sus relaciones y desafíos hacia el futuro, EDUCC, Cór-
doba 2005, 84 (corsivo nostro). Cf. anche J.M. Bergoglio, Prefazione in E.C.
Bianchi, Introduzione alla teologia del popolo, EMI, Bologna 2015, 13 (ndr).

13
la Facoltà di Teologia di Buenos Aires, esperto della Commis-
sione episcopale per la pastorale3 ' e come tale uno dei fondatori
della cosiddetta teologia del popolo ' e tra le altre cose grande
ispiratore del Pellegrinaggio giovanile a Luján4; e un secondo
periodo di isolamento e nascondimento, durante il quale ha con-
tinuato silenziosamente a incoraggiare una pastorale popolare.
La cerniera che articola entrambi i periodi è il conflitto che nel
1979 vive con il suo arcivescovo5, il quale lo porta a rinunciare
al suo compito di professore presso la Facoltà di Teologia e a
ritirarsi completamente dalla vita pubblica della Chiesa. Per tutto
il tempo della sua docenza si è sempre preoccupato che il suo
nome non apparisse nelle poche cose che scriveva o ispirava. Gli
piaceva definirsi semi-analfabeta, perché leggeva ma non scrive-
va. Durante il suo ritiro scrisse abbondantemente, però in questo
periodo la sua preoccupazione è stata invece che la diffusione
restasse limitata.
In questo secondo periodo ' un vero e proprio ostracismo '
ha continuato a vivere attivamente il suo ministero sacerdotale,
tanto quanto nella prima fase. Ogni settimana si radunava con
un gruppo di amici sacerdoti, interessati all'evangelizzazione
dei più poveri, e cercavano insieme possibili itinerari, teorici e
pratici, per portarla avanti. Chiamava questo spazio la escuelita


3'
La Commissione episcopale per la pastorale (COEPAL) è l'organismo
costituito ad hoc dai vescovi argentini nel 1966 per un'implementazione con-
creta del Concilio Vaticano II in Argentina. Formata da alcuni vescovi, da
teologi e pastoralisti, costituisce il retroterra della teologia del popolo con
la dichiarazione nota come Documento di San Miguel (Declaración del Epi-
scopado Argentino sobre la adaptación a la realidad actual del país, de
las conclusiones de la II Conferencia General del Episcopado Latinoameri-
cano [Medellín] 1969, in http://www.familiasecnacional.org.ar/wp-content/
uploads/2017/08/1969-ConclusionesMedellin.pdf [4.11.2019]) (ndr).
4'
Il pellegrinaggio a «Nuesta Señora de Luján» è iniziato il 25 ottobre del
1975 e costituisce da 45 anni una delle più grandi manifestazioni religiose
dell'Argentina e dell'America Latina. Gli argentini da Buenos Aires percorro-
no a piedi di notte sessanta chilometri fino al santuario, che conserva un'icona
del 1630. Il pellegrinaggio ha ricevuto impulso e costante sostegno dall'allora
card. Bergoglio (ndr).
5'
Si tratta del card. Juan Carlos Aramburu (1912-2004) (ndr).

14
[la piccola scuola], ed è stato in questo contesto che sono stati
concepiti gli scritti che abbiamo selezionato per questo libro. Ha,
inoltre, promosso la creazione di istituzioni per lo sviluppo di
attività a sostegno dei più poveri. Sul versante ecclesiale, la più
nota è l'associazione Santa Maria, Stella dell'Evangelizzazione
(detta anche Confraternita di Luján). Sul versante civile promos-
se la Fondazione Saracho, alla quale ha lasciato i diritti d'autore
dei suoi scritti, e che cerca di diffondere il suo insegnamento
anche mediante pubblicazioni come questa.
Il suo pensiero è soprattutto orientato all'azione evangeliz-
zatrice; per lui teologia e pastorale sono inseparabili; la sua
intenzione è quella di promuovere una pastorale popolare per
l'America Latina, e su questa base sviluppa la sua riflessione.
Si può dire che la sua è una teologia dell'evangelizzazione o,
meglio, una teologia della pastorale popolare. Questa sua pas-
sione evangelizzatrice si coniuga con la sua profonda e sincera
fedeltà alla Chiesa. Nonostante il repentino e brusco esilio che
patì, si percepisce chiaramente la preoccupazione nel presentare
la sua teologia nel solco del magistero e della ricca tradizione
ecclesiale.
Un'altra tra le sue peculiari caratteristiche è la sua opzione
per i poveri. Più precisamente, questa opzione si concretizza in
un'«opzione pastorale fondamentale per la cultura popolare [']
che si trova 'in modo più vivo e armonizzatore di tutta l'esisten-
za nei settori poveri' (DP 414), i quali costituiscono il cuore del
popolo»6. La sua proposta, anche quando conserva marcati ac-
centi di originalità, si ordina nel contesto di questa opzione che
la Chiesa latinoamericana fa e che lui stesso assume e promuove.
Con la sua profonda saggezza e una buona dose di audacia evan-
gelica, sapeva mettersi con la sua teologia «con i poveri fino in
fondo»7.
La sua riflessione penetra con acutezza la vita del nostro po-
polo nelle sue diverse dimensioni. Contempla la realtà come

6'
R. Tello, N.N., inedito 1994, n. 4-5.
V. Fernández, Con los pobres hasta el fondo. El pensamiento teológico
7'

de Rafael Tello, in «Proyecto» 36 (2000), 187-205.

15
uomo di fede, come sacerdote e anche come argentino, come
latinoamericano, come uomo del suo tempo. Esamina gli eventi
storici di queste terre, leggendoli sia dal punto di vista di Dio che
da quello del popolo stesso entrambi attori, senza mai confon-
derli o separarli, e ciò gli consente uno sguardo molto reale dei
nostri popoli.
Questo libro intende presentare alcuni dei suoi insegnamenti
riguardanti la vita del nostro popolo latinoamericano. È orga-
nizzato in due parti: nella prima vengono offerti quattro scritti
sul tema del popolo, e nella seconda se ne offrono altri tre che
trattano della cultura. Nel fare questa scelta abbiamo dovuto tra-
lasciare veramente tanto materiale, ma siamo fiduciosi che non
mancherà l'opportunità di continuare a pubblicarlo. In ciascuno
dei testi abbiamo aggiunto una breve introduzione, per aiutarci a
contestualizzarlo storicamente, e alcuni titoli ' collocati tra pa-
rentesi quadre ' per rendere più fluida la lettura.
Concludiamo augurando che il pensiero del nostro autore,
che integra la dimensione politica dell'uomo dentro la riflessione
teo­ ogica, possa risultare fruttuoso sia per il lettore che per fede è
l
coinvolto col nostro popolo, sia per chiunque sogni la costruzio-
ne di una patria grande insieme ai poveri.

Fondazione Saracho




16
Prima parte

POPOLO
1.
QUALCOSA IN PIÙ SUL POPOLO




In questo scritto dell'anno 1989, padre Tello propone vari modi per
accedere alla conoscenza del popolo, che a loro volta danno forma a
diversi modi di concepirla. Dopo aver presentato la sua opzione per il
popolo come realtà storico-culturale-personale, espone alcune delle
caratteristiche che aiutano a mostrarlo presente nella storia, lasciando
aperta la possibilità di aggiungere altri valori che possano ulterior-
mente delinearlo.

Cercando sempre di avvicinarci di più alla realtà del nostro
popolo, per scoprire e percorrere i loro cammini, e ascoltando
anche altre persone che parlano del popolo, sembrano opportune
le seguenti riflessioni.


[Tre modi per conoscere e concepire il popolo:
ideologico, politico, realtà storico-culturale personale] 8

Ci sono tre diversi modi di accedere alla conoscenza del po-
polo e, dunque, tre diverse concezioni di essa.
Poiché il popolo è una realtà vivente di persone, che subisco-
no una realtà di povertà o di oppressione che viene loro imposta,
reagiscono ad essa. Talvolta lo fa dissimulando o disperdendosi
per sopravvivere, altre incontrandosi o unendosi, per resistere o
procedere.
' Il primo modo potrebbe essere designato come ideologico:
si parte da un sistema sociale ideale al quale si aderisce e per il

8'
Ricordiamo che tutti i titoli dei paragrafi posti tra parentesi quadre non
appartengono allo scritto originale. Sono stati aggiunti per rendere la lettura
più facile (nde).

19
quale si milita. Ci possono essere modi molto variegati: ad esem-
pio, quello degli illuministi dei primi anni del XIX secolo, co-
me Moreno o Rivadavia o, più tardi, quello dell'Alberdi9 oppure
quello della generazione degli anni Ottanta o, più tardi, quello
dei socialisti nelle sue forme più varie. La cosa comune in tutti
loro, e in altri ancora, è che il sistema ideale che difendono pro-
pone un ordine sociale in cui si presume che il progresso verrà da
parte degli illuminati, coloro che sanno e hanno dei mezzi per far
prosperare la società: la guida intellettuale, imprenditoriale e gli
altri poteri. Si presume, inoltre, che la loro conoscenza e il loro
potere vengono esercitati a beneficio di tutti gli altri.
Tutti i ceti, le fasce sociali ' le più numerose e con meno
possibilità quanto più lontane si trovano da quell'élite o gruppo
direttivo che determina il sistema ' di solito si presentano come
'il popolo'.
Questo popolo deve accompagnare e piegarsi all'élite dirigen-
te per godere di tutti quei beni che derivano dal sistema propo-
sto. Il popolo è irrimediabilmente concepito come il beneficiario
passivo del sistema proposto, anche se viene esortato con grande
insistenza a partecipare liberamente e consapevolmente a tale
sistema. È una posizione e una concezione elitaria che ignora
e sminuisce il popolo, quelle immense folle che devono aggan-
ciarsi al sistema in modo che, secondo le intelligenze dei leader,
possano trarne beneficio.
' Esiste una seconda concezione di natura più politica. Par-
te dalla realtà di un movimento popolare com'è potuto essere
quello yrigoyenista, o quello peronista10, e prestando attenzione
sia allo stesso movimento come ai suoi leader, alle loro idee e
proposte, cerca di conoscere il popolo e ciò che è buono per lui.
Questa concezione è più vicina alla realtà della gente del po-

9'
L'autore ricorda personaggi politici come Mariano Moreno (1778-1811),
Bernardino Rivadavia (1780-1845) e Juan Bautista Alberdi (1818-1884) (ndr).
10'
L'autore cita due movimenti nazionali di massa argentini: il yrigoyeni-
smo, corrente ideologica, interna al radicalismo argentino, iniziata da Hipólito
Yrigoyen (1852-1933) e che ha segnato la politica argentina fino all'avvento
del peronismo, altro movimento populista che prende il nome dal noto Juan
Domingo Perón (1895-1974) (ndr).

20
polo, ma l'intermediazione politica di diverse linee o gruppi, dei
loro interessi e visioni particolari, spesso impedisce o distorce
una percezione più profonda e più vera del popolo. Anche qui si
cerca di chiamare e convocare il popolo in modo che segua i suoi
leader politici. Questi ritengono di essere al servizio del popolo,
ma nelle loro decisioni giocano più gli interessi di una politica
generale, dominata dalle potenti élites, che le vere opzioni e sen-
timenti del popolo.
All'interno di questa linea potrebbe esserci una variante, in
cui la descrizione del popolo potrebbe essere sospettata di par-
ticolari influssi provenienti dall'idealismo o dal romanticismo
tedesco. In queste concezioni si parla molto del popolo, ma di
un popolo che assume l'entità di uno 'spirito', che si sviluppa
e cresce di per sé (come da un seme si sviluppa una pianta). Per
Hegel, quello spirito finisce per identificarsi con lo Stato.
È evidente che, in queste concezioni o immaginazioni, le per-
sone reali, la gente del popolo nella loro realtà personale, scom-
paiono e non contano nulla, e con loro lo stesso popolo, perché
'il popolo esiste e sussiste solo nelle persone che lo formano'.
È amore, 'comunità di persone'. Nella concezione idealista o
romantica, qualche individuo o persona può ancora essere consi-
derato come un''incarnazione' del popolo.
' C'è una terza concezione. È quella che qualche tempo fa
abbiamo cercato di indagare nel libro El pueblo, ¿dónde está'11.
Il popolo è una realtà storica di persone unite nell'esperienza
comune di valori che costituiscono la loro cultura e il loro modo
di vivere. Valori profondi, che con il loro inserimento nel più
arduo della vita, trovano nella povertà il loro miglior campo di

11'
Giustamente Tello parla al plurale proprio perché si riferisce a un testo
edito con la paternità del Movimiento de Sacerdotes para el Tercer
Mundo Capital Federal [MSTM], El pueblo. ¿Dónde está', Publicaciones
del MSTM, Buenos Aires 1975. Il libro appare nel 1975 come esito di un se-
minario svoltosi nel 1974 sul tema del «popolo» e che ha visto proprio come
principale protagonista R. Tello e come redattore il padre Jorge Vernazza.
Enrique Bianchi colloca lo scritto tra le «opere attribuite all'autore» (cf. p.
247). Per una ripresa essenziale del contenuto si veda più avanti al capitolo 2
(p. 29ss.) (ndr).

21
espressione. I poveri, poiché stanno quotidianamente alle prese
con i bisogni primari e le situazioni limite ' la vita e la morte,
l'oppressione e la libertà ' sperimentano in modo più vivido i
valori fondamentali di una cultura. In loro, ad esempio, l'aspira-
zione a vivere, a superare l'oppressione, a cercare la solidarietà,
costituisce una necessità ineludibile.


[Valori o caratteristiche che aiutano
a identificare il popolo]

Nella nostra patria, la concezione ideologica è stata dominan-
te nelle élite dirigenti. La concezione politica basata sulle espe-
rienze passate, e in parte ancora in vigore nei grandi movimenti
popolari, tende oggi più a far rivivere i ricordi o a goderne i frutti
che a percepire e rispondere alle attuali esperienze e aspirazioni
della gente.
Da parte nostra vogliamo insistere nell'ascoltare in profondità
e nel riconoscere questo popolo reale. Siamo convinti che, da un
lato, non si tratta di un'ipostasi, una sorta di 'spirito', sogget-
to a necessarie evoluzioni; ma, dall'altra parte, neppure di una
semplice collezione o somma di individui isolati, ma piuttosto
costituisce una comunità di persone. È una moltitudine che for-
ma un'unità, data dall'insieme di relazioni reciproche e dall'e-
sperienza comune di un insieme di valori.
Proviamo ora a identificare alcuni valori o caratteristiche che
ci aiutino a identificare questo popolo.


[Unificato dalla Vergine]

1. In primo luogo, chiunque sia davvero una persona povera
o abiti insieme a loro, non potrà fare a meno di constatare che la
Vergine sta nel cuore della gente. Si potrebbero indicare migliaia
di segni a questo riguardo.
Per valutare l'importanza di questa misteriosa realtà, in meri-
to al tema che stiamo trattando, è necessario tener presente che

22
l'elemento religioso può essere percepito e valorizzato nel suo
aspetto di relazione individuale con Dio, per la salvezza eterna.
Uno slogan molto diffuso, che riassume questo aspetto, è «salva
la tua anima».
Ma l'elemento religioso ha anche un aspetto di innegabile
capacità strutturante della realtà sociale temporale, è anche un
principio di organizzazione della società. L'elemento religioso
è qualcosa che non solo riunisce moltitudini, ma le unifica nella
credenza comune e in molteplici usi, costumi, modi, relazioni
comuni che scaturiscono da quella fede comune.
La Vergine Maria, come il segno più sensibile, più vicino, più
tenero di questa fede, riunisce moltitudini e le rinvigorisce nel
proprio senso di popolo; ecco perché è un elemento primordiale
nella loro lotta di liberazione. E questo in tutti i popoli dell'A-
merica Latina.
Abbiamo detto altre volte che i poveri sono il cuore del po-
polo, e ora aggiungiamo che la Vergine è nel cuore del popolo.


[Il popolo cresce sempre]

2. Un altro valore o modalità propria del popolo è la sua ca-
pacità e tendenza all'autosviluppo. Nel nostro suolo latinoameri-
cano, il primo nucleo del popolo è costituito dagli indigeni vinti,
decimati, impoveriti e sottomessi. L'unica nuova e vera ricchez-
za che acquisiscono dopo 'la scoperta' è il battesimo, con il qua-
le di fatto entrano a far parte del nuovo ordine stabilito, sebbene
all'ultimo gradino. Ed è a partire dal battesimo e dalle nuove
concezioni e atteggiamenti che ne derivano, che comincerà l'e-
laborazione di una nuova cultura, che modellerà e, a sua volta,
sarà modellata da quel nuovo popolo povero che nasce. Tuttavia,
a quel primo nucleo di indigeni, presto si aggiungerà la moltitu-
dine di spagnoli poveri e dei loro figli creoli o meticci. Solo una
piccola parte degli spagnoli arrivati in queste terre si arricchi-
ranno con il beneficio della encomienda12. Secondo Juan López

12'
La encomienda è un'istituzione territoriale spagnola affidata a un co-

23
de Velasco (1530-1598), verso il 1573, solo quattromila dei 160
mila spagnoli che vivevano nelle «Indie», erano encomenderos.
A Lima, di duemila famiglie spagnole solo trenta possiederanno
encomiendas13.
Una delle molte ragioni avanzate in quel tempo per far sì che
il re abrogasse le Leyes Nuevas14 che vietavano l'encomienda,
era che con tale normativa non si poteva continuare ad aiutare
gli spagnoli poveri. Più tardi, a questo popolo povero si sono
aggiunti tutti quelli che vivevano separati dei centri abitati do-
ve risiedeva il potere amministrativo, commerciale e doganale.
L'entroterra impoverito di fronte al porto.
Successivamente, le nuove correnti illuministiche genereran-
no, insieme al potere economico e amministrativo, le élites di
«coloro che sanno e possono». Emarginati da esse, compaiono
ampie zone della popolazione dove il 'tradizionale' ' che è un
segno di povertà rispetto al 'moderno' ' caratterizzerà colo-
ro che continuano a ingrossare le file del popolo. In seguito, le
grandi ondate dell'immigrazione straniera e interna (le cabecitas
negras15) vanno ad accrescere gli strati 'sommersi'. Il processo
di industrializzazione che si sta sviluppando anche tra noi, fa
aumentare il numero degli operai che sono assimilati ai poveri e
che fanno parte del popolo.
È una caratteristica del popolo: è sempre in continua crescita.


lono con il compito (in origine) di cristianizzare e proteggere gli abitanti, di
riscuotere tributi in natura o in altre forme lavorative obbligatorie (compreso
il servizio militare). Degenerata ben presto in abusi, maltrattamenti, torture e
schiavitù di tipo feudale (ereditarietà dell'encomienda), fu abolita nel XVIII
secolo (ndr).
13'
Cf. L. Hanke, La lucha española por la justicia en la conquista de
América, Aguilar, Madrid 1959.
14'
Nel 1542 Carlo V emanò tali «Leggi Nuove» che, ribadendo la centralità
del potere regio, proibivano la riduzione in schiavitù degli indigeni, la con-
cessione di nuove encomiendas e l'ereditarietà di quelle esistenti, interdette
comunque ai funzionari regi (ndr).
15'
Il termine «cabecita negra» è un modo tutto argentino per riferirsi a quei
migranti (interni) con i capelli scuri e la pelle brunita appartenenti alle classi
più umili delle zone rurali. Il tono fortemente dispregiativo e razzista, non
contraddice la sua valenza a volte classista e politica (ndr).

24
Nasce dai più poveri e assorbe via via gli strati più bassi della
successiva sfera sociale. La conferma di tutto ciò è data non solo
dall'aumento demografico, ma anche dal processo spesso denun-
ciato che i poveri stanno diventando sempre più numerosi e più
poveri, mentre i ricchi diventano sempre più ricchi, ma sempre
meno in quantità.


[Il popolo è un 'movimento']

3. Un altro elemento che ci aiuta a visualizzare il popolo e che
in questi momenti acquisisce particolare rilevanza, è la distinzio-
ne tra movimento e partito.
' Il partito è un'organizzazione per la gestione della struttu-
ra politica. Geneticamente e storicamente è uno strumento della
classe dominante per l'elezione di coloro che esercitano il potere
coercitivo dell'autorità. Anche dal partito si può parlare del po-
polo, ma secondo il concetto che abbiamo descritto sopra al n. 2.
' Il movimento è il popolo non inquadrato, che tende a eser-
citare le proprie prerogative e valori oltre il partito. Comprende
tutti, non solo gli elettori, ma anche le donne, i bambini, gli an-
ziani, gli stranieri' e a spingerli sono i loro bisogni o aspirazio-
ni comuni.


[Personalismo individualista dell'uomo del popolo]

4. Esiste una caratteristica molto tipica del nostro popolo, dif-
ficile da percepire e concettualizzare, ma molto reale e che si tro-
va alla base di molte valutazioni contraddittorie al suo riguardo. È
ciò che potremmo chiamare il 'personalismo individualista' della
nostra gente. Per descriverlo ci aiuterà il riconoscere che ci sono
tre modi di concepire la relazione dell'individuo con la società:
' il primo modo (potremmo dire all'inglese): l'individuo ha la
sua privacy; alcuni politici, pochi, agiscono sull'ordine pubblico
in modo che gli individui possano godere della loro privacy. Su
questa linea, altri (gli yankee, per esempio) diranno che la società

25
deve essere organizzata per salvaguardare precisamente la pri-
vacy dell'individuo. Entrambi concepiscono la società e lo Stato
come un mero strumento a favore dell'individuo;
' una seconda concezione (quella socialista) dirà: la socie-
tà deve essere organizzata, ma per il bene di tutti coloro che la
compongono; si deve cercare il beneficio della società nel suo
insieme e non del solo individuo. Attraverso leggi e istituzioni,
l'individuo viene inserito nell'ambito istituzionale, ad esempio
attraverso le tasse, e questa partecipazione sarà restituita alla so-
cietà attraverso una vasta struttura burocratica;
' il terzo modo di concepire la relazione tra l'individuo e la
società è la più comune nel nostro popolo. È profondamente in-
dividualista, ma non secondo lo stile inglese o yankee, perché qui
l'individuo si riconosce in una comunità, è consapevole della sua
appartenenza ad essa; sebbene sia geloso della sua libertà indivi-
duale e cerchi di esercitarla pienamente, ciò non lo porta a negare
la comunità; egli sa che come parte della comunità, se questa non
si realizza, ne soffrirà parecchio. La sostanza qui è l'amore: colui
che ama l'altro 'è' anche con l'altro. L'individuo, proprio perché
individualista, non desidera e non ama tanto organizzare se stes-
so per raggiungere la sua privacy, ma solo per difendersi dagli
altri. Tuttavia, siccome per inclinazione naturale cerca e desidera
l'altro, è da qui che proviene la sua propensione per l'amicizia e
per le riunioni di gruppo. Questa, quindi, non avviene mediante
un'organizzazione o per legge, che naturalmente rifiuta. L'uomo
del nostro popolo, nonostante il suo individualismo, prende in
considerazione gli altri, specialmente gli ultimi, i più poveri.


[Il popolo cerca un ordine personale]

5. Un'altra particolarità del nostro popolo è connessa con
quanto è stato detto sopra: preferisce e tende verso un ordine
personale piuttosto che a un ordine reale, o delle cose. E le isti-
tuzioni o le leggi necessarie devono assicurarlo, cioè devono fa-
cilitare e promuovere tra le persone la relazione e la convivenza
che nasce dall'amore.

26
Questo è quella cosa che, se si osserva attentamente la comu-
nità, è in funzione di tutte le persone che formano la comunità,
perché vivono e 'sono nella' comunità. Pertanto, una comunità
ben organizzata o costituita come ordine personale, deve distin-
guersi dallo Stato. Nella prima e nella seconda concezione sopra
citata, il popolo è visto e trattato dallo Stato, che nella sua forma
moderna appartiene all'ordine reale. Nella nostra terza conce-
zione, ciò che conta è la comunità, il popolo che organizza la
propria vita; vita che, se diventa piena, si identifica con la felicità
e che deve essere lo scopo di qualsiasi organizzazione.


[Il popolo vuole vivere nell'unità]

6. Un'ultima caratteristica del nostro popolo che vorremmo
indicare, è la sua tendenza all'unità. Ciò significa che tutte le
persone, partecipando ai beni della società (l'umana sussistenza,
la fraterna solidarietà e la pace), vivano in unità.
Però questa caratteristica è un ideale. Storicamente il popolo
nasce dai più poveri, senza risorse sufficienti per sopravvivere,
oppressi ed emarginati dal nucleo dirigente, e si accresce con
l'inclusione di tutti coloro che i potenti del mondo riducono in
tali condizioni.
Qui sorge una seria domanda sui percorsi verso l'unità: i po-
tenti di questo mondo moderno sorgono avvalendosi della scien-
za e della tecnica, figlia dell'illuminismo. Questo stesso illumi-
nismo predicava la dignità dell'uomo e la fratellanza universale.
Ma, sotto la copertura di queste astrazioni, con la sua tecnica
e il suo progresso per pochi, ha sottomesso e impoverito interi
popoli e le grandi masse dell'umanità. Oggi si dice spesso che
la divisione più esplosiva per l'umanità, non è più tra l'Oriente
e l'Occidente, ma tra il Nord e il Sud, tra i ricchi e i poveri, tra i
sazi e gli affamati.
L'unità dei popoli, che per il crescente 'restringimento' del
nostro mondo per sussistere dovrebbe realizzarsi in un'unità
dell'umanità, accadrà attraverso la predicazione e le vie dell'il-
luminismo oppure dalla crescita dei popoli radicati nei propri

27
valori di religiosità e nella forte ricerca di un ordine personale
basato sull'amore'


[Dobbiamo cercare più valori e caratteristiche
del popolo]

7. Rimane aperta la ricerca e la formulazione di altri valori.
Ad esempio, le «tre bandiere» (economicamente liberi, social-
mente giusti, politicamente sovrani)16 esprimono i valori perma-
nenti ricercati dal popolo'




16'
Cf. Giovanni Paolo II, Discorso ai contadini, agli impiegati e agli
operai di Monterrey (31 gennaio 1979), in https://w2.vatican.va/content/john-
paul-ii/it/speeches/1979/january/documents/hf_jp-ii_spe_19790131_messico-
monterrey-lavoratori.html (12.6.2019).

28
2.
IL POPOLO




Questo testo corrisponde a una nota [numerata da 1 a 155] consegna-
ta nell'aprile del 1991. In quei giorni, il nostro autore discusse molto
sul popolo negli incontri settimanali. Qui offre una serie di nozioni di
base per comprendere meglio il nostro popolo latinoamericano. Affer-
ma che il popolo è una comunità sufficiente per la vita dell'uomo, e che
il suo dinamismo interno lo porta alla ricerca del bene comune. Offre
anche interessanti riflessioni sulla guida del popolo da parte delle sue
autorità.


[L'uomo, essere sociale per natura. Richiede un popolo]
1. L'evangelizzazione affidata da Gesù Cristo è rivolta all'uo-
mo, a tutti gli uomini, con i quali lui si è unito in qualche modo,
per trovare il Padre.
2. Ma l'uomo è per natura un essere sociale, cioè sviluppa
naturalmente la sua vita nella comunità o società.
3. Pertanto, l'evangelizzazione deve essere rivolta agli uomini
individualmente considerati e alla società in cui vivono.
4. L'evangelizzazione della società deve essere integrale, cioè
deve includere la proclamazione del Vangelo e l'insegnamento
di ciò che Cristo ha insegnato, cioè la vita cristiana, cosicché
tutto questo s'inculturi nel popolo e possa inoltre comprendere
la realizzazione di un ordinamento sociale giusto, cioè secondo
la legge che Dio creatore ha disposto mentre creava la natura di
ogni cosa.
5. Questo ordine, come indica la parola stessa, appartiene alla
società e la società ' formata da uomini che hanno tutti un'ugua-
le e inalienabile dignità personale ' deve essere una comunità.

29
6. L'uomo nasce e vive in diverse comunità altrimenti, come
dice Aristotele, sarebbe come un animale o come un Dio17, cioè
meno di un uomo o più di lui. Una di queste comunità naturali è
la famiglia, un'altra è il popolo.
7. Qui ci riferiamo specificamente al popolo. Prima di tut-
to alla nozione generica di popolo18, [poi al popolo delle nostre
terre. E come l'uomo è chiamato a crescere, ma rimanendo se
stesso senza alienarsi, più avanti tratteremo dello sviluppo e della
liberazione]19.

[Popolo. Nozione: comunità sufficiente per la vita dell'uomo]
8. Perché' La Chiesa deve rivolgersi all'uomo concreto, stori-
camente esistente, ma poiché l'uomo non esiste se non in un po-
polo, diventa pertanto inevitabile occuparsene. Anche il magiste-
ro odierno se ne occupa. Il Concilio, infatti, insegna molte cose
sulla comunità umana e sui popoli; anche il magistero pontificio
lo fa pure abbondantemente nei suoi principali documenti20.
9. La nozione di popolo è oggi sovrapposta alle nozioni di
Stato e nazione, quindi sarà anche necessario parlarne.
10. Si riferisce molto di frequente al nostro popolo anche il
magistero latinoamericano come attuato dalla Conferenza gene-
rale21. Tuttavia, il popolo nel nostro subcontinente ha caratteristi-
che proprie come anche la nazione e lo Stato, distinti ma anche
per certi aspetti opposti a quelli dell'Europa e del Nord America,
per cui sarà necessario trattarne specificamente. Questo è il mo-
tivo per cui l'esposizione si articola come indicato sopra al n. 7.

17'
Cf. Aristotele, Politica, I, 1253a (Opere, vol IX, Laterza, Roma-Bari
1973, 6-7): «Chi non è in grado di fare parte di una comunità civile o non ha
bisogno di nulla perché basta a se stesso, non è parte dello stato. Quindi o è
una bestia o è un dio» (ndr).
18'
Si veda dal n. 8 e ss.
19'
Questo tema non viene trattato in questo articolo (nde).
20'
Cf., ad esempio, le encicliche di Giovanni XXIII; la PP, la OA o l'EN di
Paolo VI; l'enciclica SRS di Giovanni Paolo II.
21'
L'autore si riferisce alla «Conferenza generale dell'Episcopato latino-
americano e dei Caraibi» (CELAM), cf. http://www.celam.org (12.6.2019)
(ndr).

30
[2.1.] Nozione
11. Si segue l'analisi aristotelico-tomista, che anche la Gau-
dium et spes sembra tener presente. Ma non come una costruzione
aprioristica della 'ragione ragionante', ma come un'elaborazione
razionale dei dati estratti dalla realtà, che permette di cogliere più
profondamente e nelle sue caratteristiche essenziali la realtà dei
fatti. Siamo anche consapevoli che si tratta di un metodo molto
diverso da altri più moderni (tuttavia non più profondi o veri),
tipici delle prospettive storiche, sociologiche, economiciste o di
altre dette in generale positive (che sono spesso positiviste).
12. Il popolo è una comunità umana, sufficiente per la vita
dell'uomo.
13. Abbiamo bisogno di penetrarne il concetto e quelle parti o
elementi compresi in quella nozione (cf. n. 15ss.), e analizzarne
l'estensione e i soggetti a cui si applica (cf. n. 60ss.).
14. Guardiamo anzitutto alla sua comprensione, trattando in
primo luogo il suo carattere di comunità (cf. n. 15ss.) e poi sulla
sufficienza (cf. n. 50ss.).

[Comprensione del concetto. Comunità]
15. È una comunità di uomini, cioè di persone, di esseri spiri-
tuali razionali, che esistono e sussistono ognuno individualmente,
liberi, che da soli e davanti a Dio hanno pieno senso (cf. GS 24).
Pertanto, la comunità, sebbene più ampia e più durevole di ogni
individuo, e sebbene in alcuni casi possa richiedere il sacrificio
di qualcuno di essi, non è una sostanza e nemmeno una colonia
come può essere un formicaio o uno sciame.
16. La comunità ha sì un'unità, ma è solo di 'ordine' (non è un
semplice ammasso) di persone libere e, a causa delle persone, di
molte altre cose. Questo solleva quindi due questioni: la relazione
tra le persone e la comunità (cf. n. 17 e 26ss.) e il rapporto tra le
persone e le 'cose', in riferimento alla comunità (cf. n. 40ss.).

[A. Relazione persona-comunità]
17. Riguardo alla prima questione, dobbiamo partire dal prin-
cipio che la persona umana ha valore e significato assolutamente

31
per se stessa, e la sua partecipazione alla comunità è ordinata
a ottenere quella pienezza di vita o di azione che costituisce la
sua felicità. Quindi, dobbiamo affermare che la comunità è una
necessità naturale per la persona. D'altra parte, simultaneamen-
te dobbiamo difendere ' cosa non facile da sostenere fino alle
ultime conseguenze che ne derivano ' che tutti gli uomini che
costituiscono la comunità sono persone.
18. Da quest'ultimo punto segue che tutti gli uomini hanno
pari dignità e libertà (ontologica) e, quindi, un'eguaglianza fon-
damentale (cf. GS 29) per cui la comunità naturale, pur rico-
noscendo le reali differenze (il bambino non è lo stesso che il
vecchio, l'uomo e la donna, il saggio e l'ignorante, tanto per fare
qualche esempio), non può essere discriminatoria o emarginante
verso nessuno dei suoi membri o di qualsiasi categoria sociale.
19. Fondamentalmente tutti i membri sono uguali, però esisto-
no molte differenze reali (naturali, storiche, sociali, culturali, eco-
nomiche), per cui alcuni di essi, per le loro capacità, la loro vita e
le loro azioni, progrediranno in tutti gli ambiti molto più di altri. Di
fronte a questa situazione, quale atteggiamento si deve prendere'
20. Affermare che non dovrebbero abusare dei più deboli' Sì,
ma non è abbastanza, prima di tutto perché è eccessivamente va-
go: è o non è un abuso applicare «la legge di bronzo dei salari»22
o le leggi di mercato che stanno emarginando molti' In secondo
luogo, perché anche senza l'abuso dell'altro, la disuguaglianza
può diventare eccessiva, e in questo consiste precisamente la
«questione sociale» (MM 157) (cf. n. 9).
21. Impedire coercitivamente il maggiore sviluppo di alcuni'
Questo sarebbe un attentato contro la libertà e l'iniziativa indi-
viduale.
22. Fare in modo di dare a tutti «pari opportunità»' A prescin-
dere del fatto che è utopico e falso rivendicarlo in modo assoluto

Teoria economica (fine del XVIII e inizi del XIX secolo) secondo la
22'

quale i salari tendono 'naturalmente' a un livello minimo, che corrisponde
al minimo fabbisogno di sussistenza dei lavoratori. Una legge che inchioda
l'umanità povera sulla linea della sussistenza: il necessario per non morire. In
sostanza salari a livelli irrisori (ndt).

32
perché le situazioni sociali da cui si parte sono molto diverse,
rimane sempre che alcuni avanzeranno molto e altri, volontaria-
mente o involontariamente, rimarranno indietro, cioè di fatto si
verificherà una non auspicabile disuguaglianza.
23. Contare sul fatto che coloro che progrediscono, lo faranno
necessariamente favorendo il progresso degli altri, sia attraverso
la produzione (salari, tecniche), sia attraverso ciò che viene pro-
dotto (che migliora il tenore di vita)' Questo sistema ha mostrato
fino alla nausea che non realizza l'uguaglianza desiderata se non
soltanto in certe società, già molto omogenee, ma che non è di
validità universale.
24. Le autorità dovrebbero assumere ' in modo specifico lo
Stato ' il carattere di benefattore e quindi distribuire le ricchezze
ai più bisognosi o alla società in generale' Una politica redistri-
butiva può alleviare gli effetti della disuguaglianza, ma è insuffi-
ciente, perché le manca universalità e, soprattutto, perché viene
esercitata dall'autorità, o dallo Stato, ma non dai membri stessi
che compongono la comunità.
25. Al di là dei molti contributi concreti che i sistemi pre-
cedenti possono apportare, l'uguaglianza fondamentale di tutti
i membri della comunità può essere salvaguardata pienamente
dall'amore reciproco e da quella solidarietà che conducono l'uno
a prendersi cura degli altri come altri-io (cf. GS 27). Certamente
questo ha un'intonazione 'idealista', ma l'uguaglianza esige e
nasce da un atteggiamento etico, e l'etica, che si riferisce a ciò
che dovrebbe essere, è sempre in qualche modo 'idealista'.
26. Tornando alla relazione tra persone e comunità, avendo
stabilito che c'è un'uguaglianza fondamentale tra quelle, diceva-
mo che (cf. n. 17), da un lato, la persona ha un valore assoluto ed
è destinata alla pienezza dell'essere e della vita e che, dall'altra
parte, la comunità le è connaturale e necessaria e, in qualche
modo, è superiore a ciascuno degli individui che la compongono.
Quale sarebbe allora la relazione tra le due'
27. Ci sono tre orientamenti di fondo, che presentano poi ac-
centi e sfumature diverse:
a) gli uomini singoli sono parte della comunità e quindi infe-
riori ad essa, che è il tutto;

33
b) la vita degli uomini, esseri individuali che hanno senso per
loro stessi, è il valore maggiore e la comunità dovrebbe essere a
servizio loro;
c) la persona umana è il valore supremo, ma la sua pienezza
si realizza solo in comunità.
Nel primo orientamento, la comunità è superiore agli uomini.
Nel secondo, la comunità è uno strumento posto a servizio degli
uomini. Nel terzo, il valore supremo è quello della persona uma-
na, che si realizza unicamente nella comunità attraverso il dono
di sé per amore degli altri (cf. GS 24).
28. Il primo e il secondo orientamento sono passibili di acqui-
sire un significato falso, o non retto, e un altro parzialmente vero.
29. Riguardo al primo, la falsa asserzione si verifica quando la
comunità viene assolutizzata; questo è accaduto di frequente in ri-
ferimento allo Stato, alla nazione, al popolo, alla razza o alla classe.
30. La formulazione vera, anche se solo relativamente tale,
si verifica quando la comunità è considerata prioritaria, poiché
effettivamente questa, sotto certi aspetti, prevale sull'individuo.
Questa modalità si verifica spesso in san Tommaso, che segue
Aristotele.
31. Riguardo al secondo orientamento, è falso il significato
quando si afferma il primato assoluto dell'individuo rispetto al
quale la comunità è solo uno strumento o è considerata principal-
mente una mera difesa dei diritti naturali individuali.
32. La formulazione secondo cui la comunità è uno strumento,
un mezzo o una condizione perché l'uomo possa raggiungere la
sua pienezza è vera, perché in effetti è così, ma solo parzialmente
perché la comunità non è solo questo. Questa formulazione si
trova in Giovanni XXIII e nella Gaudium et spes (cf. GS 26).
33. Il terzo orientamento è semplice e totalmente vero se in-
corpora le verità parziali del primo e del secondo. È anche la
dottrina di san Tommaso d'Aquino, presente pure in Giovanni
XXIII (cf. PT 35ss.), e viene insegnata ' almeno in modo equi-
valente ' da Giovanni Paolo II23.

23'
Cf., ad esempio, RH 10: «La sua vita è priva di senso, ['] se non s'in-
contra con l'amore». (LE 10) e SRS 33 e 39.

34
34. Questo problema viene formulato solitamente come il pri-
mato dell'uomo o della comunità, oppure anche vincolato alla
nozione di bene comune (questo aspetto verrà trattato più avanti,
al n. 64ss.).
35. Ogni primato o priorità comporta un ordine. Ma ci sono
ordini molto diversi (non solo quello della ragione, ma anche
quello delle cose o delle realtà esterne) e l'ordine sopra menzio-
nato si manifesta nelle cose ordinate.
36. Il popolo è una comunità di persone umane quindi, con-
siderato secondo gli elementi che costituiscono la sua essenza
(parti specifiche e pertanto secondo un'attribuzione essenziale
o specifica), viene prima di tutto, con priorità di dignità o perfe-
zione, la persona e solo dopo il raggruppamento in comunità, di
conseguenza questa è ordinata al perfezionamento di quella. Ciò
corrisponde al terzo atteggiamento citato sopra (cf. n. 27c e 33).
37. Ma se consideriamo gli uomini in generale, che costitui-
scono la comunità, indeterminati, poiché possono essere questo
o quello (fanno parte della materia e quindi oggetto di una pre-
dicazione materiale), la prima cosa e ciò che esiste storicamente
e temporalmente è la comunità. Ogni uomo che contribuisce a
formare la massa di uomini che costituiscono la comunità è con-
tingente e secondario. Questo corrisponde al primo orientamento
(cf. n. 27a e 30).
38. Tutto ciò che è storico, temporale, viene spesso definito
generico, ma questa espressione è ambigua: se si riferisce alla
genesi della comunità, l'individuo occupa il primo posto; ma se
si riferisce alla genesi dell'uomo, la comunità viene prima, per-
ché da essa nasce e cresce.
39. Se si considera l'ordine dei fini corrispondenti alle azioni
umane, l'ordine di intenzione e l'ordine di esecuzione sono in-
vertiti. Nell'intenzione, quello che viene prima è il fine ulteriore
o fine ultimo (per cui frequentemente viene chiamato fine prima-
rio), mentre nell'esecuzione, viene prima il fine più prossimo.
In base a ciò, cercare le condizioni sociali affinché l'individuo
possa raggiungere la sua pienezza, sarebbe la prima cosa nell'or-
dine dell'esecuzione, ma non nell'ordine dell'intenzione. Ciò
corrisponde al secondo orientamento (cf. n. 27b e 32).

35
40. Stiamo cercando di approfondire la comprensione di ciò
che è una comunità chiamata «popolo» (cf. nn. 12-14) e, dopo
aver considerato la relazione che esiste tra le persone e la comu-
nità, è nostro compito ora scoprire che la comunità comporta
istituzioni e, di conseguenza, anche la relazione di queste con la
persona.

[B. Relazione persona-istituzione-cose]
41. La comunità, effettivamente, consta di persone, istituzioni
e cose.
42. Ciò che conta di più, ovviamente, sono le persone. Qua-
lunque sia la loro condizione (il bambino nel grembo materno, o
quello con la sindrome Down, sono anch'esse persone costituti-
ve della comunità). Le persone devono essere considerate in se
stesse, nelle loro esistenze, nelle loro azioni e nelle loro relazioni
' specialmente nell'intercomunicazione ' intrecciate con gli altri
membri della comunità, con le istituzioni, con la cultura e con le
cose. Loro, e non le istituzioni, sono la principale preoccupazio-
ne della Chiesa e, pastoralmente, è da essa che la società dovrà
essere giudicata. Questo ci è noto a partire dal Concilio come un
«rivolgersi all'uomo»24.
43. Ma nella comunità, oltre alle persone, ci sono cose che
essa stessa o i suoi membri usano. Ci sono anche quelle che po-
tremmo chiamare istituzioni, diverse dalle persone e dai loro atti
soggettivi e dalle cose. Sono usi, costumi, leggi, modi di agire
assunti dalla comunità come mezzo o itinerario per raggiungere
i suoi fini, ma anche organi o strutture per adempiere determina-
te funzioni. Pertanto, le istituzioni sarebbero la lingua, il modo
di rivolgere il saluto, il matrimonio, la patria potestà, l'organiz-
zazione commerciale, il parlamento, l'accademia delle scienze,
l'università. (Le istituzioni esistono anche nella Chiesa e alcune
sono di origine divina, come la sacra Scrittura, la sacra gerarchia
e i sacramenti).

24'
Cf. R. Tello, Anexo I a La Nueva Evangelización. Volverse hacia el
hombre, inedito del 1986, 12-13 (ndr).

36
44. Le istituzioni sono molto importanti:
a) perché strutturano e sostengono la comunità che, senza di
esse, non esisterebbe;
b) perché dirigono, promuovono e aiutano a ordinare le azioni
o le influenze personali dei membri della comunità.
45. Nella relazione tra le persone, con le loro azioni, e le isti-
tuzioni, chi ha priorità di dignità' In parallelo o proporzionale
all'approccio corrispondente alla persona e alla comunità (cf. n.
27), dobbiamo dire che esistono in genere tre posizioni:
a) deve prevalere il comune e il generale sul particolare, e
quindi le istituzioni sulle azioni e le preferenze personali. È vero
che si deve servire con sollecitudine il bene dell'individuo che
agisce, ma il suo bene sta proprio nel sottoporsi all'istituzione;
b) deve prevalere sempre la libertà dell'uomo e, quindi, qual-
siasi atto libero sull'istituzione, anche nel caso in cui questi atti
incoraggino un disprezzo individuale o sociale dell'istituzione,
perché proprio allora si manifesta meglio la libertà di spirito e la
determinazione di essere se stessi;
c) deve prevalere l'atto personale su qualsiasi istituzione (an-
che di diritto divino positivo), a condizione che questo atto sia
'buono', cioè ordinato alla vera felicità della persona.
46. La ragione di questo è che la persona umana è stata creata
per acquisire la sua perfezione, la sua completezza, la quale con-
siste nella pienezza dell'essere e dell'agire, il che costituisce an-
che la sua felicità. Ed è stata creata per raggiungere la sua felicità
esercitando la sua libertà. Pertanto, né la società né alcuna isti-
tuzione positiva possono impedire o intromettersi nel cammino
verso quella felicità, che è il suo primo e massimo dovere. È così,
ma deve essere controbilanciato e definito da un'altra verità: la
pienezza dell'uomo (e dunque la sua felicità) può essere raggiun-
ta solo in comunità, perché è un essere vivente di natura sociale.
47. Da questo principio emerge che la pienezza personale
proviene dagli atti, ma questi non hanno tutti la stessa importan-
za: la felicità o la pienezza umana si trova principalmente negli
atti vitali dell'intercomunicazione personale, e anche questi non
sono tutti uguali tra loro: si distinguono l'amore, la solidarietà,
la fraternità, la pace. In questi soprattutto c'è la perfezione, la

37
pienezza e la felicità dell'uomo. Così diventa chiaro come la per-
sona e le sue azioni abbiano il primato sulle istituzioni.
48. Questa dottrina contiene enormi conseguenze pastorali,
come si vedrà altrove, sia sul versante religioso, rispetto alla pra-
tica del cristianesimo popolare, sia su quello secolare, rispetto al-
le istituzioni che sono estranee al popolo. Dovremo anche vedere
quando sia spiegabile e giustificabile rimandare le istituzioni.
49. La terza posizione (n. 45c) è anche il fondamento del giu-
dizio morale cattolico, che stabilisce la bontà dell'azione nella
conformità alla verità dell'ordine oggettivo, che può richiedere
o vietare il collegamento con una specifica istituzione, ma anche
riconoscere che chi agisce in buona fede, per ignoranza invinci-
bile o incolpevole, anche se non rispetta l'ordine oggettivo, tut-
tavia può agire bene.

[Comprensione del concetto: sufficiente]
50. Abbiamo detto che il popolo è una comunità di persone
con una certa sufficienza (cf. n. 12). Dopo aver considerato il suo
aspetto di comunità, è opportuno dire qualcosa sulla 'sufficien-
za'.
51. «Gli uomini, le famiglie e i diversi gruppi che formano
la comunità civile sono consapevoli di non essere in grado, da
soli, di costruire una vita capace di rispondere pienamente alle
esigenze della natura umana e avvertono la necessità di una co-
munità più ampia, nella quale tutti rechino quotidianamente il
contributo delle proprie capacità, allo scopo di raggiungere sem-
pre meglio il bene comune» (GS 74)25.
52. La «comunità più ampia» ' che noi chiamiamo popolo
' dovrebbe essere sufficiente. Una sufficienza che mira a rag-
giungere una vita pienamente umana: che significa tutto questo'
53. Primo: significa che l'uomo individuale, la famiglia e i
gruppi o associazioni particolari, sono insufficienti per una vita
umana in pienezza.


25'
GS 74, che cita MM.

38
INDICE




Prefazione (papa Francesco) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
Sigle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
Prologo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13

Prima parte
POPOLO
1. Qualcosa in più sul popolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
2. Il popolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
[2.1.] Nozione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
[2.2.] L'autorità: nozione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51
3. Per valutare il popolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69
4.  er scoprire la presenza del popolo
P
nel nostro processo storico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83
[4.1.] Che cos'è il popolo nel processo storico . . . . . . . 83
[4.2.] Esiste un popolo' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86

[4.3.] Come il popolo agisce e la sua presenza
nella storia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87
[4.4.] Il popolo deve agire attraverso

le classi illuminate' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87
[4.5.] Cultura illuminata e cultura popolare . . . . . . . . . 89
[4.6.] Dalla prudenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91
[4.7.] I fini della prudenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91
[4.8. Gli atti prudenziali che portano ai fini] . . . . . . . . . 106
[4.9. Aspetti dell'esercizio della prudenza] . . . . . . . . . . 110
[4.10.] Popolo e nazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 128

247
Seconda parte
CULTURA
5. Cultura. Allegato XI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133
[5.1.]'Concetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133
[5.2.]' Cultura ecclesiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 134
[5.3.]' Coerenza e unità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135
[5.4.]' Peccato e salvezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 136
[5.5.]' Due culture principali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138
[5.6.]' La cultura moderna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138
[5.7.]' La cultura popolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 140
[5.8.]'Osservazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 147
[5.9.]' La Chiesa e la cultura ecclesiale . . . . . . . . . . . 152
[5.10.] La Chiesa e la cultura moderna . . . . . . . . . . . . 152
[5.11.] La Chiesa e la cultura popolare . . . . . . . . . . . . 154
[5.12.] Epilogo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 156
6. Cultura illuminata e cultura popolare . . . . . . . . . . . 157
[6.]1. Cultura e liberazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 157
[6.]2. Popolo e cultura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 159
[6.]3. Cultura illuminata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 162
[6.]4. Quadro preliminare di collocazione . . . . . . . . . . 163
7. Cultura e popolo. Nota (E) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 193

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