Il ritorno delle fate

«Sebbene, come tutti a quei tempi, non credessero in Dio, erano però, come tutti, superstiziosi». Così, in un delizioso racconto dedicato al Terrore giacobino (Il Signore di Parigi – che altri non sarebbe che il boia) Alexander Lernet Holenia bolla i capi rivoluzionari francesi. Parafrasando il raffinato scrittore austriaco si potrebbe dire: “erano tutti positivisti, di conseguenza credevano all’assurdo”.

Non si tratta di una frase campata per aria, ma di un caso che ha dell’incredibile: correva l’anno 1917 e mentre l’Europa era insanguinata “dall’inutile strage” (come la definì Benedetto XV) la Madonna apparve (non fotografata) con un messaggio di speranza a Fatima. Immediatamente la stampa laica e positivista si chiese con gravità come fosse possibile credere, in pieno secolo ventesimo, ad un simile genere di “superstizioni medievali”.

Nello stesso disgraziato anno ci fu un’altra “apparizione”, questa volta ben documentata da una serie di dagherrotipi: alcune “fatine” vennero fotografate a Cottingley, in Inghilterra. In questo caso la stampa laica e positivista le prese assolutamente sul serio e a difesa della veridicità delle fotografie (che poi si riveleranno – ovviamente – nient’altro che una burla ben congegnata) scese in campo anche il campione del pensiero razionalista e scientista, Sir Arthur Conan Doyle (1859-1930), creatore di Sherlock Holmes, educato nel cattolicesimo, ma convertitosi all’ateismo positivista ed approdato infine allo spiritismo.

Attraverso un minuzioso resoconto degli avvenimenti e delle ricerche condotte sulle fotografie, lo scrittore inglese intende condurre il lettore, come in un’indagine poliziesca, a riconoscere la fondatezza degli argomenti a favore della veridicità delle stesse e, di conseguenza, alla reale esistenza di fate, gnomi, elfi e via enumerando. Esisterebbe cioè una natura popolata da numerosissimi esseri, visibili solo a chi abbia particolari facoltà medianiche (o a certe pellicole fotografiche) che solo l’interpretazione teosofica è in grado di penetrare.

Le descrizioni delle fotografie, lette a distanza di quasi un secolo, sfiorano il ridicolo: la capocchia di spillo usata per tenere in piedi la figurina dello gnomo, ad esempio, venne interpretata come un ombelico e quindi fece affermare allo scrittore inglese che gli gnomi avessero una modalità di riproduzione simile a quella umana... Ma non si trattò solo di questo: le foto furono portate come prova di una natura diversa da quella fino ad allora creduta, con nuove prospettive in campo religioso.

Insomma, non si trattava più di semplici tavolini che ballavano, ma di un chiaro tentativo di contatto da parte di altre entità: «La stirpe umana non merita nuove testimonianze, dal momento che, in genere, non si è preoccupata di esaminare quelle già esistenti. Tuttavia, i nostri amici del mondo di là sono molto indulgenti e sicuramente più caritatevoli di quanto sia io, perché devo confessare che la mia anima è ricolma di un freddo disprezzo nei confronti della stolta indifferenza e della codardia morale che vedo attorno a me». “Freddo disprezzo”, “stolta indifferenza”, “codardia morale”: la morte di Conan Doyle, giunta nel 1930 ha risparmiato allo scrittore l’onta di veder definitivamente appurata, nel 1983, la falsità delle fotografie, nate come un gioco da ragazzi e trasformatosi in un evento troppo grande perché potesse esserne dichiarata la natura scherzosa.

Il volume ricostruisce attentamente la vicenda (con un ottimo apparato iconografico) e ci immerge nell’ambiente di fin de siècle, in cui al positivismo (e all’ateismo) più rigido (e più ferocemente anticattolico) si poteva affiancare la credenza nel sovrannaturale (in Inghilterra Conan Doyle, in Italia Cesare Lombroso). Senza contraddizione, perché se non si crede in nulla, facilmente si può essere portati a credere in tutto.

Tratto dalla rivista Radici Cristiane n. 57 - Agosto/Settembre 2010
(http://www.radicicristiane.it)