È possibile che giudici che fanno lo stesso lavoro, hanno seguito gli stessi studi, hanno superato lo stesso concorso, applicano le stesse leggi, approdino, sugli stessi fatti e a fronte di identiche prove, a decisioni non solo diverse o molto diverse, ma del tutto antitetiche: assoluzione o condanna; libertà immediata o carcere a vita; inizio di una nuova esistenza o definitiva negazione di un futuro? Insomma, la giustizia è un orologio di precisione, come ci insegnano, o una macchina capricciosa, regolata dagli umori e dall'arbitrio? Dagli interrogativi che ogni sera l'anziana madre gli poneva alla fine della telefonata quotidiana, gli stessi che assillano milioni di cittadini di fronte ai frequenti paradossi della cronaca giudiziaria, Francesco Caringella - che indossa la toga da oltre venticinque anni - trae lo spunto per spiegare, con linguaggio semplice e taglio divulgativo, cos'è la «giustizia», quella amministrata ogni giorno nelle aule d'udienza in nome del popolo italiano. Lo fa in dieci brevi «lezioni» sui punti salienti dell'attività del giudicare e del rito processuale, cioè i mezzi con cui la società cerca, innanzitutto, di «rendere giustizia» alla vittima di un reato, oltre che di punire il colpevole. Ecco allora che prendono corpo, e trovano puntuale risposta, questioni cruciali come il tipo di verità che è lecito attendersi dalla sentenza di un tribunale e quali sono i maggiori ostacoli che ne insidiano l'accertamento. Quesiti ardui come quelli sulle doti tecniche e caratteriali che deve possedere l'uomo chiamato a decidere della vita di altri uomini o su,