Citazione spirituale

Qualcosa ci parla

-

Sussurri e grida tra una tempesta e l'altra

 
di

Giuliano Zanchi

 


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EAN 9788825052732

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Tipo Libro Titolo Qualcosa ci parla - Sussurri e grida tra una tempesta e l'altra Autore Editore Edizioni Messaggero EAN 9788825052732 Pagine 138 Data gennaio 2021 Collana Instant Book
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È molto difficile per ora capire veramente cosa significa per Giuliano Zanchi
noi una pandemia che ancora ci tiene prigionieri. Ci vorrà
ancora molto tempo. Per adesso si può solo raccontare.
Quando questo libro sarà nelle mani di qualche gentile
lettore, sapremo se e con chi avremo celebrato il natale,
festeggiato il capodanno, condiviso gli eventi. Tutte queste
Qualcosa ci parla
parole, che ora metto in fila una dietro l'altra, avranno una Sussurri e grida
luce diversa da quella che le ha viste nascere. Vi arriveranno
già coperte di molta polvere. Io stesso incontrerò l'altro tra una tempesta e l'altra
me stesso che è stato qui, in questo tempo indecifrabile, a
scrivere sulla sabbia di cose che mutano in continuazione.
Per quanto evanescenti, queste parole avranno provato lo
stesso a tracciare un ricordo, parziale e soggettivo, della stra-




Giuliano Zanchi Qualcosa ci parla
da compiuta per arrivare a quel prossimo presente. Le avrò
con imbarazzo messe alla prova di un trascorrere del tempo
che come sempre ci avrà di nuovo sorpreso.

GIULIANO ZANCHI (1967), prete di Bergamo dal 1993, è diret-
tore scientifico della Fondazione Adriano Bernareggi di Bergamo. Li-
cenziato in teologia fondamentale presso la Facoltà teologica dell'Italia
settentrionale, si occupa di temi ai confini tra estetica e teologia. Tra
le sue recenti pubblicazioni ricordiamo: Rimessi in Viaggio. Immagini
da una chiesa che verrà (2018); I giorni del nemico (2020); Un amore
inquieto. Potere delle immagini e storia cristiana (2020); La bellezza
complice. Cosmesi come forma del mondo (2020). È membro di reda-
zione della «Rivista del clero italiano» e della rivista «Arte Cristiana».


In copertina: Il geografo (1669), dipinto di Johannes Vermeer; CC BY-SA 4.0
Museo Städel, Francoforte sul Meno.




' 12,00 (I.C.)
www.edizionimessaggero.it
Instant Book
GIULIANO ZANCHI




QUALCOSA
CI PARLA
SUSSURRI E GRIDA
TRA UNA TEMPESTA
E L'ALTRA
ISBN 978-88-250-5273-2
ISBN 978-88-250-5274-9
ISBN 978-88-250-5275-6

Copyright © 2021 by P.P.F.M.C.
MESSAGGERO DI SANT'ANTONIO ' EDITRICE
Basilica del Santo - Via Orto Botanico, 11 - 35123 Padova
www.edizionimessaggero.it
INDICE


Mio nonno ha visto di peggio ........ 7 .
La discrezione della cicogna ......... 10
.
Nei giorni della visitazione ............ 13
.
Strane storie di fantasmi ............... 17
.
Il pesante fardello dell'onnipotenza23
I nove decimi dell'iceberg .............. 30
.
La condizione anfibia dei medici 35
Malesseri da salto temporale ......... 39
.
La messa ai tempi della
sua riproducibilità tecnica ........ 44
.
I miracoli degli altri ....................... 51
.
Rimanere senza parole .................. 55
.
Una guerriglia da conflitto
indocinese .................................. 59
Nuovi allarmi dalla trincea ............ 64
.
Piove, governo ladro ...................... 68
.
I tempi dell'antagonismo coatto .... 73
.
La mano alzata della morte ........... 79
.
Sotto la fontana dei diseguali ........ 84
.
136
Eroi di un solo inverno ................ 92
.
Segni da un mondo irrequieto ..... 98
Considerazioni in futuro anteriore106
Qualcosa ci parla .......................... 111
Torneremo agli abbracci .............. 119
.
Forse qualche nipote ci guarderà
ammirato .................................... 128
Note ............................................... 135




137
Mio nonno ha visto di peggio

In casa abbiamo ancora una vecchia
fotografia di mio nonno, Zanchi Paolo
Michele, classe 1896, Cavaliere di Vit-
torio Veneto, ritratto in divisa militare
nei mesi in cui dopo la grande guerra
ha fatto parte del contingente che per
un anno ha presidiato Vienna, capita-
le di un impero appena dissolto. Nel
perimetro di quella cornice mio non-
no continua ad avere ventitré anni.
Vestito da soldato e fermo nel sinistro
aldilà che le immagini aprono verso
di noi, per qualche settimana ha osser-
vato taciturno suo figlio Quirino An-
gelo, ora ottantaquattrenne, allettato
dall'infezione che ha reso anomala e
indimenticabile per tutti la primavera
7
del 2020. Nel costante andirivieni di un
improvvisato servizio infermieristico,
fra un termometro, una tachipirina, un
saturimetro e una flebo, ho incrociato
quello sguardo lontano e insistente con
una continuità che mi ha impedito di
sottrarmi a certi muti interrogativi che
dalla Vienna del 1919 mio nonno non
smetteva di inviarmi in modo misterio-
so e reale. Traduco il più significativo
di essi in una costatazione che può es-
sere corredata di mille precisazioni ma
che merita comunque attenzione. Nato
agli sgoccioli dell'ottocento, mio nonno
aveva 18 anni quando è scoppiata la pri-
ma guerra mondiale; a 19 deve partire
per il fronte; ne ha 22 quando sul finire
della guerra esplode la 'spagnola'; av-
viandosi ai trent'anni assiste all'ascesa
del regime fascista e ha 33 anni quando
una crisi finanziaria esplosa negli Stati
Uniti fa saltare il banco dell'economia
mondiale; quando ne ha 43 Hitler inva-
de la Polonia dando inizio alla seconda
guerra mondiale; stavolta non gli toc-
8
ca andare al fronte ma ci va suo figlio
Cesare che scampa miracolosamente
ai terribili eventi di Cefalonia. Quando
nel 1968 arriva il '68', mio nonno ha
72 anni, non ho idea di cosa capisca di
quello che accade e comunque si sta già
avviando verso quel taciturno distacco
dal mondo che resta il connotato pre-
valente dell'uomo che ho conosciuto io.
Immerso nel clima straniante di mesi
che mai avrei immaginato di dover vi-
vere, mi rendo conto che mio nonno ha
visto di peggio, molto peggio, eppure
in quei mesi incredibili resto avvolto
in quella sindrome da calamità epoca-
le che in certi momenti ci ha dato l'im-
pressione di trovarci in un film di fan-
tascienza. Ripensandoci adesso, dopo
il relativo placarsi della tempesta, sento
che entrambe le sensazioni hanno una
loro verità. Mio nonno ha visto di peg-
gio, ma per noi la pandemia da corona-
virus dilagata dalla Cina dopo un capo-
danno qualsiasi resta un inedito che ha
significato un tempo di 'rivelazione'.
9
La discrezione della cicogna

Nato nel 1967, appartengo a quelle
generazioni che hanno trovato il mon-
do in relativo ordine, il paese ampia-
mente ricostruito, un clima sociale
non privo di tensioni ma piuttosto ef-
fervescente e una parabola economica
in costante ascesa. Pace, prosperità, li-
bertà, divertimento, benessere, bellez-
za, cultura, welfare, istruzione, tecno-
logia, medicina, un cocktail di grazie
terrene in cui semplicemente ci siamo
trovati a nascere e che avevano costitu-
ito per noi i normali arredi dell'unico
mondo che avessimo mai conosciuto,
naturali come gli alberi, l'aria, il mare,
le montagne e gli animali, parti di un
ecosistema che fornisce di default i
suoi innumerevoli confort. Siamo cre-
sciuti nel culto di una normalità che
pensavamo protetta da quei chiavistel-
li della tecnica e della scienza che ren-
devano il caveau del progresso il posto
più sicuro del mondo. Anche gli anni
10
di piombo ci erano parsi un purgato-
rio di passaggio tra i fantastici anni
sessanta e il nuovo edonismo degli
anni ottanta, avvolgente e spensierato,
sempre più lanciati in un orizzonte li-
beral da cui doveva sorgere il vero sol
dell'avvenire. Immersi in questo chia-
rore ci siamo abituati a immaginare
miseria e indigenza come esperienze
esotiche di un mondo premoderno, in-
convenienti diffusi negli 'altrove' non
ancora raggiunti dalla luce del nostro
confortevole paradiso in terra; l'insi-
curezza, una patologia di mondi anco-
ra arretrati di cui osservare da lontano
una sfortuna inconcepibile per noi. La
cicogna ci ha deposto nel migliore dei
mondi possibili e la nostra giovinezza
ha potuto passeggiare sotto il cielo di
un tempo senza paure. Vero, l'11 set-
tembre è stato il primo grande sasso
lanciato contro la grande vetrina oc-
cidentale, ma abbiamo vissuto quegli
eventi come un grande spettacolo pla-
netario, un gigantesco videogame in
11
cui era anche perfettamente disegnato
il 'nemico' contro cui si doveva com-
battere. Poi la crisi del 2008, anch'essa
a suo modo improvvisa e brutale. Ma
sono rimaste avvisaglie lontane e inci-
denti passeggeri. Ombre volatili come
i brutti sogni. Più un grande spavento
che una vera lezione. Restava ancora
nell'aria molta di quella euforia che
nel 1989, crollato il muro di Berlino,
aveva salutato la vittoria di un mon-
do libero, agiato e sicuro. La verità è
che siamo cresciuti nella superstizione
dell'invulnerabilità. È bastato un cieco
e impersonale agente biotico, divenuto
in pochi mesi più famoso di Cristiano
Ronaldo, a mettere in discussione que-
sto residuo magico.




12
Nei giorni della visitazione

Lo abbiamo concordemente chia-
mato il 'nemico invisibile'. Ne ab-
biamo sostanzialmente riso quando
nell'autunno del 2019 abbiamo co-
minciato a saperne qualcosa dalle im-
magini che ci arrivavano in casa dagli
alveari urbani di Wuhan. Abbiamo
continuato a sorridere anche quando
la sua presenza ha cominciato a insi-
nuarsi tra di noi. Abbiamo smesso di
farlo quando ci siamo trovati col si-
stema sanitario sull'orlo del collasso.
Improvvisamente ci siamo trasformati
in un paese disciplinato, responsabi-
le, ordinato. Il rialzo nella borsa dei
valori solidaristici è stato qualcosa di
clamoroso. Eravamo diventati tutti
più buoni. Qualche mese fa, in preda a
emozioni forti, saremmo stati disposti
a dire 'definitivamente'. A distanza di
tempo il nostro 'grado di maturazio-
ne' in merito non appare più con dei
contorni così sicuri. Una radiazione di
13
onesto cinismo ha indotto tutti a smon-
tare presto anche le infinite retoriche
sul diventare migliori che fiorivano
dalla bocca di tutti e che avevano at-
tribuito agli eventi una sinistra valen-
za palingenetica. Chiusi in casa dalle
disposizioni sanitarie eravamo pronti
a giurare che da lì in avanti sarebbe
cambiato tutto. Nel brusio iconico che
accompagna la nostra vita mediatiz-
zata scorrevano torrenti di cuoricini
palpitanti. Love is in the air, come can-
tava nel 1977 John Paul Young. Una
volta ridiscesi in strada abbiamo capi-
to quasi all'istante che non siamo mai
diventati quella bella umanità solidale
in cui pensavamo di esserci trasforma-
ti. Ha preso il suo spazio sulle prime
pagine dei giornali e le aperture dei tg
il caso dei quattro che hanno massa-
crato di botte il povero Willy Monteiro
per ragioni tragicamente infantili. Lo
sconcerto vero arriva però dai moltis-
simi che, accaniti come un esercito di
zombie radunati in un cimitero, accla-
14
mano sui social all'eroismo di quell'o-
micidio come un gesto coraggioso e
meritorio. Abbiamo tanto sospirato
di tornare alla normalità: sembra pro-
prio che ci siamo riusciti. Quindi no,
non siamo diventati migliori. Però ne
stiamo uscendo sicuramente diversi,
senza ancora poter dire precisamente
in cosa. Questa visitazione pandemica
e i mesi del lockdown ci hanno fatto
oltrepassare una linea di non ritorno
i cui molteplici significati restano in
azione a un livello ancora subliminale
e che solo il tempo porterà veramen-
te allo scoperto. Finora abbiamo solo
fatto i conti con qualche modesto sin-
tomo di superficie, un folklore del di-
sagio divenuto a sua volta una specie
di normalità d'emergenza, un imprevi-
sto che le nostre prassi sociali provano
ad addomesticare come un qualsiasi
animale di compagnia. Alle masche-
rine di tipo sanitario, per esempio, si
sono presto sostituite quelle disegnate
per rientrare nei canoni di un'eleganza
15
non troppo sacrificata: assegnare alle
ragioni del fashion un discreto peso
accanto a quelle della salute significa
aver appreso il senso dell'invito a 'con-
vivere' con la situazione. Siamo tutti
presi, seppure in modo diverso, a fare
le stesse cose di prima. L'essere uma-
no ha persino più resistenza del ragno
che ritesse la sua ragnatela nel punto
esatto in cui qualcosa l'ha distrutta.
Eppure non ci abbandona una sensa-
zione di irreversibilità che ancora non
sappiamo determinare pur risuonan-
do in noi come un bisbiglio radicato,
profondo, insistente. Benché non ca-
piamo ancora cosa dice, qualcosa ci
parla.




16
Strane storie di fantasmi

Molti sono convinti che non esiste
alcun messaggio dietro eventi che a
uno sguardo razionale non possono
apparire altro che meri effetti intrec-
ciati a cause precise e determinabili.
Un virus non parla, non manda mes-
saggi, non insegna. Va preso come un
semplice fatto da affrontare con la
scelta di altri fatti. Sono soprattutto
gli scienziati a ricordarcelo, ma anche
molti intellettuali, qualche filosofo e
certi opinionisti. Si tratta di un prag-
matismo di cui si deve apprezzare l'u-
tilità. In effetti non va ignorata la con-
sistenza empirica di un fenomeno che
in primis risponde a quelle regole di
natura che l'intelligenza degli uomini
ha imparato a conoscere. Perderla di
vista significa allontanarsi da un prin-
cipio di realtà da cui dipende qualsia-
si discorso sensato che ne può conse-
guire. Ne I promessi sposi Alessandro
Manzoni si diverte a delineare il profi-
17
lo piuttosto patetico di don Ferrante,
cultore autodidatta di scienze varie,
uno che adesso cercherebbe verità
nascoste su internet, un negazionista
del seicento, che attribuendo gli effetti
della peste a una congiunzione astrale
tra Giove e Saturno finisce per morire
a causa di qualcosa di cui ha continua-
to a negare l'esistenza. Interpretare i
segni del tempo non significa costrui-
re castelli in aria. Ma nemmeno dare
libera circolazione alle nostre alluci-
nazioni inconsce. Il talento in merito
non ci manca. Abbiamo attivato im-
provvisazioni esegetiche in cui l'idio-
zia ha dato appuntamento alla creati-
vità in un modo così libero e selvaggio
da travalicare gli argini della ragione
umana. Se ne sono sentite di tutti i
colori. In questa sfida aperta contro
la retta coscienza e l'intelligenza della
responsabilità si sono come al solito
distinti i lugubri avvocati del castigo
di Dio, che abbiamo sentito senten-
ziare dal guscio dei loro abiti sacri o
18
indottrinare dal microfono delle loro
radio religiose, sempre in cerca di un
colpevole che nella norma coincide
con un genere di presenza per loro
inconcepibile. In Israele la cerchia
dei rabbini ultra ortodossi ha classi-
ficato la pandemia come punizione
nei confronti del mondo gay che of-
fendendo la natura ne ha provocato le
ritorsioni. Per ironia della sorte, pro-
prio uno di loro, per giunta ministro
della salute, ha contratto l'infezione.
Anche un cardinale cattolico, famoso
per amare abiti sacri a strascico in di-
suso da cento anni, ha legato questa
emergenza pandemica all'«integrità
della sessualità umana» attaccata in
tutto il mondo. Quanta gente ha fatto
gli stessi pensieri senza verbalizzarli
così esplicitamente' Sembra di torna-
re in un istante ai tempi di Giustinia-
no, che nelle Novellae Constitutiones
parlava di «diaboliche e sconvenien-
ti turpitudini» che attirano sul mon-
do «carestie, terremoti e pestilenze».
19
Comprensibili nella cultura di quel
lontano tardo impero, spiegazio-
ni come queste appaiono oggi tra le
più odiose e non sono meno esecra-
bili delle molte dietrologie e dei vari
complottismi sbucati un po' ovunque
dal brusio di questo mondo che, no-
nostante le vaste dimensioni della sua
globalizzazione, da certi punti di vista
resta un villaggio arcaico in preda ai
suoi spiriti e in cerca dei suoi capri
espiatori. Quello che, speriamo ancora
per poco, le circostanze ci impongono
di chiamare il Presidente degli Stati
Uniti ha dichiarato qualche giorno fa
che i medici gonfiano di proposito le
statistiche sulle morti da coronavirus
per fare più soldi. Mi viene la curiosi-
tà di saper dove Dante avrebbe scelto
di metterlo nella sua commedia. Nel
contempo capisco che un'affermazio-
ne tanto ignobile non si distingue poi
molto dalla propensione generale che
in ogni momento difficile trascina gli
esseri umani a consolarsi con delle
20
dicerie nobilitate come controverità.
Persino raffinati filosofi della Roma
imperiale, inquieti di fronte alle tra-
sformazioni del loro tempo, si nutri-
vano della diceria secondo la quale
i cristiani nei loro riti mangiavano i
bambini, moltissimi secoli prima che
cominciassero a farlo i comunisti; a
loro volta i cristiani non avrebbero
esitato, secoli dopo, a giurare che gli
ebrei mischiassero il sangue di sacri-
fici umani nel loro pane azzimo. Noi
andiamo in giro a dire che il virus è
stato fabbricato in Cina per indeboli-
re la nostra economia o che i medici
fanno girare a vuoto le ambulanze per
fingere un'emergenza che non esiste.
Ogni epoca ha le sue dietrologie. Ma
ad agire è sempre la millenaria pro-
pensione dei sapiens per il fascino
delle fandonie. In verità non c'è mol-
to da sorprendersi. Quando tornano
a farsi largo questi 'miti difensivi'
significa che 'qualcosa' sta toccando
i nervi della nostra temporanea stabi-
21
lità collettiva. Questa pandemia non
ci ha svelato solo di essere molto più
vulnerabili di quanto non credessimo,
ma anche che, sotto le sembianze del
sapiens tecnologicamente modifica-
to che siamo diventati, agisce ancora
l'ominide esposto all'ignoto e pieno
di paura che attorno al fuoco raccon-
ta storie di fantasmi per esorcizzare
gli eventi infausti di cui non ha con-
trollo. I nostri fuochi sono diventati
schermi digitali, ma i nostri fantasmi
sono ancora quelli di una volta.




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