Il ritratto di Oscar Wilde

Seguire il percorso artistico e spirituale di Oscar Wilde (1854-1900), irlandese e anglicano, costituisce un problema per la critica letteraria. Certo è che il mito di Oscar Wilde resiste senza bisogno di ricorrere a convegni o a commemorazioni. La sua vita di splendido «bohémien» inglese, le sue eccentricità nei salotti londinesi, la sua vita affettiva sregolata, al limite del dicibile, pur essendo sposato con figli, lascia trapelare, tuttavia, un cammino spirituale che Paolo Gulisano tratteggia con garbo e buona conoscenza delle opere dello scrittore studiato. Estetista per vocazione artistica, raffinato nella vita, ricercato nel vestire, il suo capolavoro sembra essere Il ritratto di Dorian Gray, che è la storia di un giovane che insegue l’obiettivo utopico di una eterna giovinezza, o almeno di ingannare la morte.
Studente universitario a Dublino e quindi a Oxford, in quel periodo un amico lo portò a visitare Roma. In udienza dal papa Pio IX si sentì augurare dal pontefice, ormai vecchio e sofferente, di raggiungere nel viaggio della vita la Città di Dio. Su Roma, memorabile «registro di storia», lasciò scritto un componimento poetico «Urbs Sacra Aeterna». Le letture di S. Agostino, dell’Imitazione di Cristo e di Newman maturarono il suo De profundis (1897), scritto in cattività e uscito postumo, specchio della sua anima che riconosce gli errori della sua vita, come i rimorsi e la sincerità del pentimento.
Debilitato dalla prigionia andò esule in Italia, in Svizzera e in Francia. A Parigi, fece il passo che voleva fare in gioventù se il padre non lo avesse dissuaso con argomenti molto pratici. Poco prima di morire chiese e ricevette il battesimo cattolico.

Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2009, nr. 3
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)