L'Epistola di Paolo ai Romani

La lettera ai Romani è certamente lo scritto più importante di Paolo e, insieme alla Lettera ai Galati è quella che più ha affascinato i grandi pensatori ad iniziare da Origene, e quella che più ha influito sulla storia della teologia fino al secolo scorso con il commento di K. Barth che inizia la teologia kerigmatica. A questo commento l’esegeta francese era preparato da altri due commenti: quello della lettera ai Galati e quello della lettera ai Tessalonicesi (terza di copertina). Grandi commenti moderni alla lettera ai Romani ce ne sono molti. Basti ricordare quelli di Fitzmyer, di Schlier, di Cranfield, ultimamente di Pitta e quello formidabile di R. Penna, di cui è uscito solo il primo volume col commento dei primi cinque capitoli. In cosa consiste la forza specifica di questo commento? Non certo nell’introduzione, molto breve, che tratta sinteticamente i soliti problemi introduttori (pp. 7-24). L’a. nel suo grande commento segue poi in modo esemplare il metodo storico-critico ed è quindi ottimo per l’erudizione linguistica, letteraria ed anche per la critica, fin troppo critica, perché presuppone e mette in luce tensioni o aggiunte che secondo me non ci sono, come ad esempio il famoso brano «politico» di Rm 13,1-7. Le note a pié di pagina trattano problemi filologici o esegetici di minore importanza oltre che riportare accuratamente le fonti. Ad ogni pericope commentata segue una buona bibliografia, quasi sempre aggiornata all’ambiente italiano. Nel commento vi sono spesso sezioni stampate più in piccolo per trattare questioni particolari, che possono essere saltate. Alla bibliografia generale della fine viene aggiunta una lunga bibliografia italiana, curata da Gianni Francesconi. Vi manca purtroppo sia in quella del commento al capitolo 7 sia in quella finale l’importante monografia di Stefano Romanello, Una legge buona ma impotente. Analisi retorico-letteraria di Rm 7,7-25 nel suo contesto (ABI-Supplementi alla Rivista Biblica, 35), EDB, Bologna 2000. Il motivo di questa dimenticanza è dovuta al fatto che l’a. trascura intenzionalmente l’analisi strutturale e quella retorica, oggi molto praticata, con la scusa che ogni anno vengono proposte strutture diverse della lettera (pp. 21-23). Ma in tal modo si preclude la possibilità di comprendere il modo di procedere di Paolo e vede tensioni e inserzioni dove invece una lettura diversa le avrebbe superate per un testo ancora più unitario di quello che presuppone l’esegeta francese. Questo trascurare completamente struttura letteraria e retorica gli impedisce purtroppo di cogliere in pieno la ricchezza teologica della lettera. Erudizione filologica e storico-letteraria come una critica intelligente sono i punti di forza di questo commento, mentre ci perdono l’unità letteraria, gli evidenti rapporti interni che si illuminano a vicenda e la teologia.

Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2005, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)