Dal greco, "introduzione nel mistero", la mistagogia ricopre nell'antichità greca due significati: quello dell'iniziazione ai misteri celebrati nel culto e quello dell'introduzione nelle verità di
fede (e nel loro signficato più profondo). Nel
cristianesimo, la mistagogia fu, ed è, di necessità vitale nel secondo significato. Se al tempo dei
Padri della Chiesa la mistagogia era impiegata soprattutto per l'interpretazione dei
sacramenti, l'uso del concetto di mistagogia nei tempi più recenti comporta l'apertura (come esercizio) all'esperienza della trascendenza, da intendersi come esperienza di Dio. Le esperienze del quotidiano, non dunque in primo luogo gli atti religiosi, vanno «decifrate» alla luce del senso offerto da tale esperienza. Di ciò fa parte anche l'interpretazione delle esperienze «oscure», le quali saranno diverse a seconda delle diverse età della vita (il silenzio di Dio, la "notte oscura", la prova spirituale, il male come problema insolubile della teodicea). E’ inoltre compito della mistagogia far superare ciò che ostacola la fede sotto forma di rappresentazioni di Dio ingenue o manipolate da persuasori vari, e introdurre nel mistero del Dio come "totalmente altro", che in
Gesù si rivela come Padre.