Il nome significa "seconda legge", e deriva dall'inesatta traduzione di un termine ebraico tratto da Dt 17, 18, che significa 'una copia della legge' e non 'seconda legge' (nell'originale ebraico, invece, esso è costituito dalle parole iniziali del libro stesso: «Queste sono le parole», 'Devarim'). Tuttavia il suo significato ben si adatta al contenuto del libro: esso ripresenta le leggi enunciate nei libri precedenti per applicarle alle condizioni nuove del popolo, non più nomade, ma fisso in sede stabile.
Il Deuteronomio, che possiamo ricomprendere nel genere oratorio, contiene tre grandi discorsi di
Mosè:
- nel primo discorso (da 1,1 a 4,40), egli ricorda e rilegge l’intera vicenda di Israele sotto la sua guida;
- nella parte esortativa del secondo (dal 5,2 all’11,32) mette in luce le ragioni profonde che hanno fatto di Israele il popolo eletto e consacrato da Dio; il liberatore e profeta ripropone pertanto una seconda volta la legislazione fondamentale (il decalogo 5, 6-21) e le leggi a questa collegate come base per gli impegni che il popolo d'Israele si è assunto ai piedi del Sinai e che rinnova a Moab (28, 69);
- infine, nel terzo discorso (dal 29,1 al 30,20), Mosè pone il popolo di fronte all’alternativa «benedizione» o «maledizione», scelta di Jahveh (vita) o rifiuto di Jahveh (
morte e destino di sparizione dalla
storia).
Segue poi, come conclusione, il racconto riguardante la fine di Mosè: dopo essersi eletto un successore, benedice il popolo e, contemplata da lontano la Terra Promessa, muore senza potervi mettere piede.