In un'antica storia dello zen (ch’an in cinese), apparsa in Cina nel 1029 con il titolo “Gli annali della diffusione della lampada, lo scrittore Li Tsun-hsu racconta che lo zen avrebbe avuto origine dallo stesso Buddha storico Shakyamuni quando a questi, che si trovava un giorno al Picco dell'Avvoltoio nei pressi di Rajagriha, venne richiesto di parlare del Vuoto. Il Buddha rimase a lungo in silenzio, poi prese un fiore di loto e lo tenne a lungo sollevato dinanzi a sé in silenzio. La folla dei discepoli non riusciva a capire. Solo il monaco Kashyapa comprese il significato di quel messaggio silenzioso, e sorrise. Il fiore di loto è il simbolo dell'ascesa verso la luce: sorge dal fondo fangoso e lentamente esce dall'acqua e si porge ai raggi del sole. Ricorda lo spirito degli esseri destinati, nel paziente riapparire nel ciclo delle rinascite, alla sublime vacuità del nirvana.I shin den shin, dal mio cuore al tuo cuore, è detta nello zen questa comunicazione senza parole da maestro a discepolo.
Ora, va subito chiarito che il Vuoto, la Vacuità (Shunya, Shunyata in sanscrito) del buddhismo non ha nulla dell'accezione nichilista propria dell'Occidente: "Si modella il vaso di argilla -ricorda Lao-tzu- ma è dal vuoto interno che dipende il suo uso". Il vuoto è dunque ciò che permette all'esistente di esistere, che tiene assieme, come il ventre della madre 'tiene' il suo bambino: in questo senso il vuoto è anche Dharma, legge universale che governa l'esistente, nonché legge morale nell'uomo e parola santa nella predicazione del Buddha; è infine non-parola, silenzio metafisico e mistico, indicazione dell'impossibilità in questa vita di attingere pienamente alla visione di un Assoluto -il "Dio al di là di Dio" di Meister Eckhart- che, come scrive Paolo, vedremo totalmente alla fine dei tempi, quando Egli sarà "tutto in tutti" (ICor 13,14; 15,28). "Ove dunque mi volgerò? -si chiede Angelus Silesius-ancora oltre Dio, a un deserto, devo tendere", e continua: "La Divinità è un Nulla":* l'umiltà e l'abbandono di Shakyamuni e di Gesù sono la realizzazione della vacuità universale.
Non sappiamo se il racconto di Lin Tsun-hsu si richiami a una tradizione orale, dato che nella più antica storia dello zen cinese, del 1004, l'episodio non viene riportato. Egualmente però pone l'attenzione su un aspetto spesso dimenticato del Buddha: la grande quantità di discorsi {sutra) che l'Illuminato pronunciò nei quarantacinque anni della sua predicazione itinerante, ha distolto lo sguardo dai suoi silenzi, dalle lunghe giornate di meditazione, quando egli semplicemente col suo aspetto comunicava l'essenza: non riassumeva forse l'immobile postura del loto il punto più alto di una vita illuminata, vita santa, vita d'amore compassionevole verso ogni essere, orientata al misterioso assoluto, realizzazione primigenia del mite Discorso della montagna di Gesù?
È nella ricerca di questa silenziosa comunicazione l'ispirazione del viaggio di padre Enomiya-Lassalle. In anni non sospetti di rincorrere mode, questo gesuita -e gesuita era anche san Francesco Saverio, il primo missionario ad arrivare in Giappone nel 1549-, insegnante di tedesco alla Sophia Università di Tokyo, si avvicina allo zen e, ben radicato nel proprio essere cristiano, inizia un cammino che lo porterà, attraverso l'esperienza di desueti paesaggi dello spirito, alla riscoperta di un Occidente mistico e realista nel medesimo tempo, occultato da secoli di devozionalismo e moralismo. È la fase in cui la luce dell'Asia ricorda all'immemore Occidente la profondità delle sue radici: è un vento antico e nuovo, questo che spira dalle esperienze di uomini come Lassalle, Bede Griffiths, Henri Le Saux, Jules Monchanin, Thomas Merton e altri, che dal viaggio a Oriente, dalla frequentazione coinvolgente di itinerari, luoghi, linguaggi di Dio, riportano a casa una consapevolezza appunto antica e nuova, un sé arioso e accogliente vivificato dal riconoscimento della sacralità della via dell'altro, un sé che sa vedere ormai ciò che appartiene all'io e ciò che è proprio di Dio. Quante volte nella storia abbiamo tragicamente nascosto l'oscuro io dietro il nome di Dio! Non è però a senso unico il cammino: anche la luce delle terre del tramonto può illuminare le terre dell'alba, come mostrano i testimoni del dialogo interreligioso, e i tanti cristiani uccisi nel mondo per la loro testimonianza di fede, assieme lievito di nuovi cieli e nuova terra. Molti praticanti zen potranno accettare l'affermazione di padre Lassalle, secondo cui anche nell'illuminazione dello zen è misteriosamente presente, come nella via del mistico cristiano, l'azione della Grazia, la quale non ha bisogno, per operare, d'essere concettualmente espressa. Vorrei personalmente aggiungere, per fare un altro esempio, che egualmente lo zen potrà trarre nuova consapevolezza dal tempo inteso come dilatazione dell'anima del cristianesimo. Il pressante insistere sul presente ha talvolta fatto perdere la visione dell'insieme: come spiegare altrimenti le gravi violazioni della via del Buddha operate dai molti monaci zen che sostennero con il pensiero e con le armi la politica imperialista del Giappone del secolo scorso, giustificate con l'affermazione che in quel momento -il presente- era questo il bene del paese? L'eccessiva attenzione al presente immediato, giustamente l'unico tempo che ci è dato da vivere in modo pieno, non deve far perdere la memoria del passato e la speranza del futuro. Così sant'Agostino: "I tempi sono tre: presente del passato, presente del presente, presente del futuro. Questi tre tempi sono nella mia anima, e non li vedo altrove. Il presente del passato è la memoria; il presente del presente la percezione immediata; il presente del futuro l'attesa".
Sant'Agostino, Le confessioni 11,20.
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