L'altra Mensa: la Parola nella liturgia

Fratel MichaelDavide (Semeraro), benedettino del monastero di Germagno, ci offre con questo volumetto una serie di riflessioni sul ruolo della parola di Dio nella vita della Chiesa ispirate soprattutto dal motu proprio con cui il 7 luglio 2007 papa Benedetto XVI invitava a una rinnovata attenzione alla sensibilità e alla cura verso la liturgia al fine di «conservare o conquistare la riconciliazione e l’unità».
Riprendendo l’insegnamento di Gregorio Magno («Che cosa sono le parole della verità se non alimenti per nutrire le nostre anime?», viene sviluppata in tutte le sue ricche implicazioni e in tutta la sua carica formativa la metafora della Parola come nutrimento dello spirito. Essa non perde mai il suo sapore e le sue virtù, non invecchia attraverso la ripetizione lungo gli anni e i secoli, ma può offrire sempre elementi nuovi e stimoli preziosi alle orecchie attente. L’insegnamento tradizionale della Chiesa è chiarissimo: la Liturgia della Parola purifica il cuore dei fedeli, illumina, consola, conferma nella fede e nella comunione fraterna. Fratel MichaelDavide scrive per ribadire ancora una volta che la Liturgia della Parola, che culmina nella proclamazione del Vangelo, e la Liturgia eucaristica sono indissolubilmente legate e rappresentano le due facce della medesima realtà sacramentale.
Avverte, seguendo l’Ordo lectionum missae, e quindi con la candida umiltà necessaria, che «a livello di pastorale liturgica, sottovalutare questa ritualità che passa necessariamente attraverso un’estetica dei libri liturgici e il loro uso appropriato significa incorrere nel rischio di abbassare, e di molto, il livello di presenza del Cristo in mezzo al suo popolo» (p. 19). Non esita a specificare anche modi che, a suo avviso, limitano arbitrariamente l’efficacia della Liturgia della Parola: «Ciò avviene – e non dovrebbe avvenire – quando, ad esempio, nell’omelia e nella preghiera universale si parla semplicemente e talora volutamente di altro; si pensi in particolare al proliferare di giornate con intenzioni particolari che rischiano di interrompere il flusso più naturale del ciclo liturgico privandolo della sua dinamica mistagogica. Un simile modo di procedere è molto rischioso, come pure quello di approfittare dell’omelia per parlare e spiegare le iniziative pastorali o commentare gli ultimi eventi» (p. 22). La sua critica si fa anche molto puntuale: «Troppo spesso ad esempio i gesti che accompagnano la proclamazione del Vangelo sono compiuti dal ministro in modo quasi furtivo». Ma anche propositiva: «Non solo i gesti andrebbero compiuti in modo visibile e con intima e profonda partecipazione, ma persino estesi al popolo di Dio, per esempio, favorendo un inchino dopo la lettura del Vangelo e l’ostensione dell’Evangeliario oppure, quando il numero lo permettesse, offrendo l’evangeliario al bacio di tutti i presenti come si fa in talune Chiese orientali. (p. 23).
Non sono pochi gli spunti pratici offerti dalla lettura delle brevi, semplici e scorrevoli, ma succose, pagine scritte da fratel MichaelDavide. Pienamente condivisibile appare il suo richiamo all’importanza del momento di passaggio dalla parte catechetica a quella mistagogica della celebrazione, come testimoniato dalla liturgia bizantina. Il lettore vi troverà molti altri richiami altrettanto condivisibili e rilevanti nella realtà odierna.

Tratto da "Letteratura liturgica" n. 5/2009 della "Rivista liturgica"
(http://www.rivistaliturgica.it)