Come vivere, e bene, senza il buon dio: avrebbe dovuto essere questo il titolo del vol., ma l’a. ha scelto di rinunciarci per non essere irriguardoso nei confronti di tutti coloro i quali s’affidano a un’ipotesi priva di significato per dirla alla Wittgenstein: quella che Dio esiste. «Agnostico» impenitente, Caruso non si pone il problema dell’esistenza di Dio in quanto lo ritiene insolubile e rifiuta, al tempo stesso, ogni superstizione, ogni fondamentalismo, la fede quia absurdum. In modo rassegnato constata che per molto, moltissimo tempo l’umanità s’affiderà a una divinità per poter sopravvivere all’angoscia della totale dissoluzione che giunge con la morte. Si crede, dunque, per darsi coraggio pur avendo, alle volte, il dubbio che Dio sia nient’altro che «dio». Alcune domande restano inevase: credere in Dio è mera consolazione o traversata nel deserto?
Tratto dalla Rivista Il Regno 2011 n. 22
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