L'apparire del mondo. Dialogo con Emanuele Severino sulla struttura originaria del sapere

«Alcuni anni fa, in occasione del nostro secondo incontro, a un certo punto della conversazione, Bontadini mi chiese quasi a bruciapelo: “Ma lei con chi sta: con me o con Severino?”. La domanda mi aveva preso un po’ alla sprovvista, tuttavia incominciai a rispondergli cercando di mostrare le ragioni per le quali ritenevo che la disputa tra loro due dovesse essere ulteriormente ripresa e che potesse ricevere una soluzione teoreticamente accettabile per entrambi. Naturalmente, in quella particolare circostanza, la mia non poteva essere una risposta esaustiva, ma Bontadini, prima ancora che concludessi di parlare, con un’altra delle sue battute fulminanti, mi disse sorridendo: “Ho capito, lei è un hegeliano”.

Ritengo che Bontadini non credesse molto al mio tentativo di ‘conciliazione’ tra le due posizioni, ma in ogni caso allora pensai che ‘hegeliano’, nel senso in cui il termine era inteso in quel momento dal mio illustre interlocutore, fosse comunque un complimento, e che avrei dovuto continuare a cercare la ‘conciliazione’ tra Severino e Bontadini, che poi voleva dire la conciliazione tra la verità dell’immutabilità dell’essere e la verità della creazione. A distanza di tanti anni ho cercato di portare a termine quel proposito e ora sottopongo i risultati della mia ricerca speculativa al giudizio dei lettori. E sebbene Gustavo Bontadini sia scomparso dalla scena di questo mondo, tra i lettori più interessati sono certo di poter annoverare Emanuele Severino» (p. 382). Questo brano, che fa parte della Conclusione (pp. 381-393, dal significativo titolo Il principio di Parmenide e la metafisica classica. La via parmenidea e la via aristotelica alla trascendenza) del nuovo denso e approfondito volume di Leonardo Messinese, può aiutare a rendere l’idea del significato fondamentale di questa pubblicazione: un confronto serio ed impregiudiziale con il pensiero di Emanuele Severino, che diventa offerta di un sapiente contributo alla rigorizzazione della metafisica classica.

Quattordici anni dopo il suo precedente studio (Essere e divenire nel pensiero di E. Severino. Nichilismo tecnologico e domanda metafisica, Città Nuova, Roma 1985) già dedicato al dialogo con il filosofo bresciano, e dando seguito ad ulteriori pubblicazioni che si sono poste in dialogo con lui (per esempio, di E. Salmann [Contro Severino. Incanto e incubo del credere, Piemme, Casale Monferrato 1996], G. Basti [ed E. Severino, Le radici del nichilismo. Una questione aperta tra metafisica cristiana e modernità, in Divus Thomas, 1997/3] e C. Arata [La verità dell’essere neoparmenidea (il Destino della verità) e il “problema” Emanuele Severino, in A. Peterlini – G. Brianese – G. Goggi, eds., Le parole dell’essere. Per Emanuele Severino, B. Mondadori, Milano 2005], per citare quelle che maggiormente abbiamo avuto modo di analizzare), Messinese imposta la sua trattazione, condotta con rigorosità esemplare e profondità speculativa, come una discussione della “filosofia prima” di Severino (con attenzione e valorizzazione delle due tappe principali dello sviluppo del pensiero del filosofo) per poi far seguire i lineamenti di una precisa proposta teoretica che ne assume gli elementi condivisibili e li ricolloca all’interno dell’eredità, mai sconfessata, anzi riaccolta in modo ancora più “pensato”, che viene dal pensiero di Bontadini. In questo senso il raggiungimento dell’obiettivo annunciato dalla citazione da cui siamo partiti ci sembra conseguito, in una pubblicazione che Severino stesso ha definito «un ‘dialogo’ di altissimo livello con i miei scritti che sfocia in una proposta teorica di rilevante interesse». Di questo volume, suddiviso in tre parti (I. Il sapere metafisico come verità originaria, pp. 29-198; II. Il pensiero metafisico come illusione e nichilismo originario, pp. 199-273; III. Il sapere metafisico come teoria dell’essere e “salvezza” del mondo, pp. 275-379), abbiamo tra l’altro apprezzato la chiarezza e lucidità espositiva (che nell’Introduzione si esprime anche sotto forma di racconto del proprio itinerario di studio, e di segnalazione dei principali risultati raggiunti, di natura non solo teoretica ma anche storica [cf. pp. 26-27]) e la considerazione, alla luce di quanto espresso, della teologia filosofica come “esplicazione suprema della metafisica”.

«Severino, a un certo punto, ha visto tutte le cose illuminarsi alla luce della verità dell’essere, ha visto ‘eterne’ tutte le cose, e si è incamminato per il sentiero del Giorno, mentre ha giudicato l’itinerario della metafisica – che era stato anche il suo – come il sentiero della Notte. L’autore del presente saggio, percorrendo con frutto entrambi gli itinerari di Severino, prima e dopo la ‘svolta’, è giunto invece alla conclusione che la metafisica classica non si costituisce, al cospetto della verità dell’essere, come il sentiero della Notte». Questo Gustavo Bontadini l’aveva capito molto bene. Anche per lui la metafisica come tale non può non installarsi in quel ‘punto’ preciso, nella verità dell’essere che ne è la fonte ‘originaria’ e ‘suprema’. Cosicché, se il discorso metafisico è certamente uno ‘sviluppo’ della verità originaria, pena il condannarla a un esito ‘astratto’, esso non può determinarsi come una fuoriuscita dalla pura luce dell’essere. In virtù di tale sviluppo, l’essere appare con il volto dell’Immutabile che si dona nella creazione del mondo. In ogni caso, per chi intenda dialogare efficacemente con Severino, è necessario innanzitutto condursi alla porta dove si dividono i due sentieri. Per dialogare con Severino, il primo incontro deve avvenire al ‘bivio’ di Parmenide» (pp. 27-28). Messinese dà prova, in questo confronto, di collocarsi proprio in quel punto, lì dove il dialogo può risultare in ogni caso davvero fruttuoso.

Tratto dalla rivista "Salesianum" 72 (2010) 4, 811-813
(http://las.unisal.it)