Citazione spirituale

Lo straniero ci soccorre

di

Bruscolotti Giuseppina


Copertina di 'Lo straniero ci soccorre'
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EAN 9788830814677

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Descrizione
Tipo Libro Titolo Lo straniero ci soccorre Autore Editore Cittadella EAN 9788830814677 Pagine 156 Data settembre 2015 Altezza 21 cm Larghezza 14 cm Collana Teologia/Saggi
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il 20 agosto 2015 alle 15:59 ha scritto:

Il volume Lo straniero ci soccorre della Prof.ssa Giuseppina Bruscolotti affronta con grande competenza e sincera partecipazione il tema di stringente attualità dell’immigrazione, innervandolo magistralmente nel pensiero biblico, dal Vecchio al Nuovo Testamento, inteso come inesauribile fonte di orientamento e di ispirazione per la nostra prassi quotidiana e per il nostro atteggiamento complessivo nei confronti dell’immigrato, con la sua alterità intrisa di profonda dignità e di ineludibile umanità.
L’ammirevole padronanza della lingua ebraica e della lingua greca, da parte della Prof.ssa Bruscolotti, ci consente di entrare nella complessità testuale della Scrittura e di apprezzarne la pregnanza del linguaggio e della terminologia riferiti al tema dello straniero, inteso in primo luogo come immigrato, per individuare, infine, le modalità del nostro rapporto con l’Altro, con la sua diversità che ci interroga e ci stupisce. L’esito, davvero sorprendente e, per certi versi, sconvolgente, di questa affascinante ricerca linguistica e conoscitiva ci conduce alla consapevolezza, inattesa e controcorrente, inaugurata dal Cristo, della presenza dello straniero o immigrato come portatrice di soccorso e di speranza, tale dunque da donare un senso e un significato al nostro vivere, soccorrendoci non solo sul piano materiale (in particolare attraverso il lavoro, soprattutto manuale), ma anche, e principalmente, sul piano spirituale e della nostra relazione con l’eterno.
A tale proposito, questo straordinario ribaltamento di prospettiva, che attraversa il testo biblico e si invera nel messaggio cristiano, trova delle significative consonanze nel pensiero filosofico contemporaneo; in particolare, citerò due grandi filosofi del Novecento di origine ebraica, vale a dire Martin Buber ed Emmanuel Lévinas. Partendo da Buber, mi preme sottolineare la sua affermazione secondo cui l’Io autentico, ovvero la persona, si costituisce solamente entrando in rapporto con altre persone, in quanto l’Io “si fa Io solo nel Tu”: la relazione umana, pertanto, va intesa essenzialmente come dialogo, come ininterrotto ascolto e convinta volontà di comprensione tra gli esseri umani, inestricabilmente uniti nel campo relazionale della propria comune umanità. E questo carattere dialogico dell’incontro tra gli esseri umani, con il superamento dell’egoismo e dell’infondata pretesa dell’autosufficienza, è sviluppato in modo magistrale da Lévinas, che sostiene una filosofia dell’Altro, in grado di superare un tratto caratteristico della cultura e dell’ontologia occidentale, vale a dire il rifiuto dell’Altro, alla radice di grandi tragedie, il cui culmine è rappresentato dai campi di concentramento nazisti. Si tratterà allora, secondo Lévinas, di vincere la violenza dell’uomo sull’uomo e l’intolleranza verso il “diverso”, attraverso l’esperienza fondamentale dell’incontro con l’Altro, ossia con il prossimo. In altre parole, il superamento di una soggettività egoistica e totalizzante si manifesterà come incontro concreto ed esperienza vissuta con l’Altro, con la sua irriducibile alterità. Questa alterità dell’Altro si manifesta concretamente come volto dotato di autosignificanza, in quanto si impone di per sé, con la sua nudità e la sua trasparenza, si auto-presenta indipendentemente da qualsiasi contesto ambientale o sociologico. Per queste sue caratteristiche, il volto si pone come l’assolutamente trascendente: dunque, “l’infinito si presenta come volto dell’Altro”; questo è il volto che corrisponde, biblicamente, al povero e allo straniero, alla vedova e all’orfano, per cui, immedesimandoci in esso, partecipando alla sua limpida e maestosa dignità, riusciamo a trascendere noi stessi, vivendo l’esperienza inebriante dell’infinita ricchezza della nostra pulsante umanità.
La rilevanza e l’attualità del pensiero di Lévinas trovano una drammatica conferma nelle immagini sconvolgenti, trasmesse dai moderni mezzi di comunicazione, dei profughi che si dirigono verso le nostre coste: ebbene, il loro volto, al tempo stesso dolente e maestoso, ci consegna al nostro rapporto con l’Altro e alla responsabilità che abbiamo nei suoi confronti; di certo, questa esperienza non sminuirà o indebolirà la nostra identità, ma piuttosto la rafforzerà e la arricchirà, perché solo dalla relazione e dall’incontro dialogico con l’Altro, con lo straniero e la sua differenza, potremo ravvisare e cogliere la pienezza del nostro essere.
Come possiamo leggere nel saggio della Prof.ssa Bruscolotti, “lo Straniero bussa alla porta della nostra anima”, invitandoci a deporre le armi della paura e dell’odio, per aprirci piuttosto all’amore e alla solidarietà. Occorre raccogliere il messaggio di un grande filosofo cristiano, Blaise Pascal, che ci invita a comprendere quanto sia importante la scelta del nostro cuore di decidere se indurirsi e pietrificarsi nei confronti di sé stesso e di tutto ciò che ci circonda, o se piuttosto aprirsi alla prospettiva dell’amore e della bellezza, che sciolgano, con grazia e dolcezza, il risentimento e l’amarezza, l’indifferenza e l’egoismo. E il messaggio di fondo che sorregge il volume della Prof.ssa Bruscolotti, a cui rinnovo i miei più vivi complimenti, è rappresentato proprio dall’invito a sciogliere il nostro cuore e la nostra indifferenza, per assaporare il calore appagante dell’incontro e dell’accoglienza, che fascerà le ferite delle nostre amarezze, versando in esse l’olio e il vino della speranza, dell’apertura fiduciosa al valore inestimabile della nostra appartenenza alla comunità umana.

Massa Martana, 9 agosto 2015
Sergio Guarente

il 17 settembre 2015 alle 12:21 ha scritto:

“Lo straniero ci soccorre” è un titolo (un libro) bello, veritiero, coraggioso e profetico. Credo che raramente un testo abbia trovato – dal momento della pubblicazione - così rapidamente conferma del suo valore e della sua utilità nello svolgersi degli avvenimenti, quelli che da alcune settimane scuotono le nostre coscienze. “Lo straniero ci soccorre” è il risultato di una ricerca lunga, faticosa, tenace, volta a dimostrare, anche con un raffinato lavoro filologico, che nelle Sacre Scritture prevale nettamente il principio dell'accoglienza verso lo straniero, il riconoscimento del suo pieno diritto di cittadinanza, lo svelamento del “soccorso” che egli ci procura. E' una ricerca che approda in libreria nel momento in cui il problema dell'immigrazione e della risposta che ad esso siamo chiamati a dare domina l'agenda della comunicazione e della politica, suscita violenti contrasti e fratture inedite in Europa. E' un lavoro – quello dell'autrice – che resta però tutto nell'ambito delle sue competenze, che sono quelle di una teologa, di una biblista, di una donna di fede. Distinta e distante, dunque, dalla discussione quotidiana sul tema, discussione che degrada quasi sempre in una babele miserevole, sgradevole, il cui stesso linguaggio involgarisce oltre ogni limite. Ma ciò nulla toglie all'attualità del libro, anzi ne esalta il valore di strumento che ci può aiutare oggi a misurarci con il tema dell'immigrazione schivando il torrente di sciocchezze da cui rischiamo di essere travolti.

Siamo portati ad avere, anche per una certa pigrizia mentale e per un bisogno di autorassicurazione, una immagine statica dell'umanità e a pensare che i fenomeni migratori siano una eccezione dovuta a situazioni particolari e irripetibili. Non è così. La storia insegna che per sua natura l'umanità è nomade e che ciclicamente – quando una serie di eventi coincidono – i fenomeni migratori assumono dimensioni enormi, ritmi frenetici, sono inarrestabili e destinati a durare per un lungo periodo e perciò a modificare il volto del pianeta. Siamo nel pieno di una fase del genere. Qualche mese fa Papa Francesco disse ai giornalisti che lo accompagnavano in uno dei suoi primi viaggi all'estero: “Qualcuno teme la terza guerra mondiale, ma la terza guerra mondiale è già in atto, soltanto che è fatta di tante guerre”. Non fu preso molto sul serio. Ma guardate la cartina del pianeta e contate i conflitti in atto: guerre vere e proprie, guerre civili, interi paesi senza governo e nelle mani di bande armate. La guerra significa morte, fame. Aggiungete a ciò le persecuzioni, i regimi dittatoriali, il terrorismo, l'Isis e capirete che il Papa aveva colto nel vero: è diversa dalle altre ma quella in corso è una guerra mondiale, forse peggiore delle altre. Aggiungete ancora le carestie, i cambiamenti climatici, la scarsezza d'acqua in aree crescenti e si capirà perché tutto concorre a spingere milioni e milioni di persone, adulti con i loro vecchi e bambini a fuggire: dalla morte, dalla fame, dalla persecuzione.

Noi non abbiamo capito per tempo quel che stava per accadere, non ci hanno aiutato a capirlo. Non l'hanno capito – in gran misura – i responsabili della cosa pubblica a tutti i livelli, nazionali e sovranazionali. Non lo ha capito il sistema dell'informazione. E, dunque, non siamo stati neanche aiutati a capire. Celebriamo quest'anno i 70 anni della fine della seconda guerra mondiale e il primo centenario della seconda guerra mondiale. Ma l'Europa è sembrata aver smarrito la memoria e con essa gli insegnamenti di quelle due immani tragedie; e delle migrazioni che costrinsero milioni di abitanti del vecchio continente a cercare in America la libertà, la dignità calpestata, la speranza di una vita migliore. A milioni passarono (anche milioni di italiani) sotto la statua della libertà, donata agli Usa dalla Francia, e sul cui basamento i versi della poetessa Emma Lazarus dicono: “...datemi i vostri poveri, le vostre masse infreddolite desiderose di respirare libere, datemi i rifiuti miserabili delle vostre coste affollate... mandatemi i senzatetto, gli scossi dalle tempeste...”. Viceversa, l'Europa è sembrata retrocedere verso un concetto di nazioni egoiste, intese come masi chiusi e non come comunità aperte. L'Europa che pure si è riconosciuta nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 ha chiuso frontiere e ha cominciato ad innalzare muri. Ce n'era uno in Germania e abbiamo atteso decenni per poterne festeggiare l'abbattimento, ora sorgono muri e nuove cortine di ferro. Non sono soltanto un simbolo di vergogna, di disonore, ma sono inutili, perché niente può fermare chi rischia la vita pur di fuggire dall'inferno che si è lasciato alle spalle. Nel corso di qualche decennio il volto dell'Europa cambierà, sarà una società compiutamente multietnica, come oggi è quella americana.

Improvvisamente – ecco perché anche il titolo di un libro può essere profetico – qualcosa è cambiato. Per la foto di un bambino annegato su una spiaggia turca? Per calcoli di convenienza (gli immigrati sono una risorsa per paesi in cui si assottiglia la quota di persone che lavorano rispetto alla crescita esponenziale della componente anziana della società)? Per un risveglio di coscienza, perché qualche leader di governo tira fuori le qualità di statista responsabile e lungimirante? Ci sono queste e, probabilmente, tante altre ragioni. Ma adesso almeno una parte dell'Europa – quella economicamente più solida e con assetti democratici consolidati – ha preso atto della qualità e delle dimensioni del fenomeno e apre le porte. “Lo straniero ci soccorre” potrebbe ben essere lo slogan di questa Europa solidale, accogliente. Si può essere, dunque, un po' più ottimisti, ma ci attende ancora un lavoro lungo e faticoso. La svolta impressa da Angela Merkel e dai paesi europei che condividono la sua scelta, da una parte rende onore al ruolo svolto dall'Italia, dalle sue strutture (militari, civili, religiose, del volontariato) per come si prodigano nella salvezza di vite umane e nell'accoglienza; dall'altra, mette a nudo un'altra Europa, essenzialmente quella dell'Est, dove disprezzo per l'altro, razzismo, xenofobia e nazionalismi esasperati sembrano essersi risvegliati da un lungo sonno per ripiombarci nelle tenebre che hanno fatto per ripiombarci in quelle tenebre di crudeltà che hanno fatto del 1900 il “secolo più terribile della storia occidentale”.

Ma il cambiamento c'è stato e, nonostante, le divisioni, il vecchio ulivo che è l'Europa potrà essere rinvigorito dall'olivastro, come spiega la bella metafora usata dall'autrice del libro, rovesciando una antica norma della botanica. Nuova linfa scorrerà e ciò non vale soltanto nel campo della fede, ma vale per un Europa che deve salvaguardare il benessere dei cittadini ma deve anche scuotersi dalla pigrizia morale e dall'indifferenza, ritrovare etica e valori. E ciascuno di noi è chiamato a fare la sua parte, con più coerenza e coraggio. Nella quarta di copertina si dice giustamente che se è vero che “l'esegeta non è un politico”, certamente il suo lavoro può ispirare il politico, l'educatore, il cittadino, il cristiano e l'operatore pastorale. Aggiungerei a questo elenco l'operatore della comunicazione, il giornalista. Non basta raccontare, descrivere quel che accade e farlo con la necessaria onestà. L'informazione ha il dovere di fornire riflessioni, ricerche documentazioni che ci aiutino a conoscere e a capire, deve parlare alla nostra ragione non alla nostra pancia. Purtroppo oggi, tranne poche eccezioni, ciò non avviene. La questione chiama in causa soprattutto il servizio pubblico radiotelevisivo, che non riesce a sottrarsi a una sorta di spettacolarizzazione del dramma dell'immigrazione. “Lo straniero ci soccorre” è un testo che varrebbe la pena di adottare nei corsi di formazione e aggiornamento professionale dei giornalisti.

Non tutto è scontato, dunque, neanche la svolta di questi ultimi giorni. Sovente le scelte si contraddicono, ci sono improvvise frenate. Ma nulla sarà più come prima. A noi è chiesto anche di non farci intimidire e sovrastare dalla virulenza (verbale e non) di chi considera un nemico lo straniero e chi lo accetta e lo aiuta. “Lo straniero ci soccorre” è un lavoro che può darci forza, perché ci aiuta innanzitutto a riscoprire noi stessi: ilprezioso lavoro di Giuseppina Bruscolotti è un raggio di luce che illumina la nostra mente e scalda i nostri cuori.

il 26 settembre 2015 alle 15:48 ha scritto:

Un'analisi minuziosa ed una spiegazione molto chiara, profonda ed esatta.
Rina Francesca Barozzi

Usato come nuovo:

Libro in condizioni pari al nuovo.

Privo di segni d`usura e di qualunque tipo di danno o vizio.

Trattasi, nella maggior parte dei casi, di libri acquistati da privati o biblioteche pubbliche o private in condizioni pari al nuovo, che vengono ceduti poiché costituiscono doppioni.


Usato in buone condizioni:

Libro in buone condizioni generali, del tutto fruibile.

Rispetto ad un libro "come nuovo" presenta però segni di usura che possono essere di vario genere.

I piu frequenti: sottolineato, copertina usurata, pagine ingiallite, orecchie d`asino.

Per ciascun libro sono precisamente indicati i segni di usura che presenta.