FOCUS
Severino Dianich, Oltre l’aula. Fare teologia oggi
Concetto – Divulgazione – Immagine – Metodo – Teologia
STUDI
Secondo Bongiovanni SJ, Per una ecologia del cervello.
L’esperienza umana tra neuroscienze e fenomenologia
Coscienza – Cervello – Cognitivismo – Cognizione incarnata –
Ecologia
Enzo Appella, «Beato l’uomo…». Antico Testamento
e orizzonte di felicità
Antico testamento – Felicità – Beatitudine – Salvezza
Andrea Villafiorita, Ecologia cattolica, ambientalismo
e complessità
Agenda 2030 – Ambientalismo – Barry Commoner – Complessità
– Ecologia integrale
NOTE E DISCUSSIONI
Tomáš Pruinec, Dall’idea di giustizia sociale alla giustizia
nella prassi. La giustizia sociale nel servizio dei diaconi
Ambiente ecc lesiale – Ambiente non religioso – Diaconato – Giustizia
sociale – Paradigma del diaconato
Roberto Maier, Potere e abusi nella Chiesa: contro una
teologia dell’artificio
Abusi – Ecc lesiologia – Immaginario – Liturgia – Restorative justice
Severino Dianich*
Oltre l’aula
Fare teologia oggi
A partire dall'osservazione della diversità dei modi di pensare
fra il procedere scientifico del discorso e quello corrente
nella vita comune, si tracciano alcune linee sulle quali muoversi
nell'opera di divulgazione della teologia. L'esperienza
della divulgazione a sua volta si ripercuote con interessanti
conseguenze sullo stesso procedere scientifico in teologia.
Beginning with the observation of the diversity of ways of
thinking between the scientific proceeding of discourse and
that current in common life, some lines are drawn on which
to move in the work of popularizing theology. The experience
of popularization in turn has interesting consequences, for the
scientific procedure itself, in theology.
Rassegna di Teologia 64 (2023) 293-312 293
Focus
Premessa
Non intendiamo in questa riflessione riferirci all’evangelizzazione, né
alla predicazione, né alla catechesi. Queste componenti della vita ecclesiale
possono essere condotte all’insegna del dantesco «State contenti,
umana gente, al quia / ché se potuto aveste veder tutto / mestier non era
parturir Maria»1. Qui è posto a tema il problema del far teologia, cioè
dell’ascolto dei problemi dell’interlocutore e del suscitarne dei nuovi, del
sollevare questioni e cercare spiegazioni. “Per causas”, si direbbe aristotelicamente,
quindi al modo con cui si fa scienza, se pure in maniera diversa
dalle scienze esatte e dalle scienze sperimentali. Caso mai, al modo
delle cosiddette scienze umane. O, più semplicemente, nel senso che una
volta affermato, per fede, un certo dato, si procede a interpretarlo in maniera
metodica e razionale, concettualizzando e procedendo nel rispetto
della logica dell’argomentazione.
Fare teologia fuori dell’aula non significherà, quindi, rinunciare al
senso critico e a porre questioni alla fede. Ci si dovrà domandare, però,
se è possibile farlo con lo stesso metodo, concettualizzando e argomentando,
con la stessa logica del procedere scientifico, così come si procede
nell’accademia. Basterà mettersi in ascolto e verificare la maniera con
cui di solito vengono poste le questioni, per rendersi conto che qui sta il
problema. Il questionare, infatti, della gente comune nella vita comune,
generalmente, non parte dal domandarsi Quid est?, a proposito di una
certa cosa. È più facile sentirsi domandare Ad quid?, a che cosa serve una
certa cosa? È necessario quindi passare da un modo di pensare a un altro.
1. I molti modi diversi di pensare
Dalle prime osservazioni di che cosa e come credono i cristiani, risulterà
con immediatezza che il loro pervenire a credere non è il frutto di
un processo cognitivo uguale a quello di chi perviene al sapere a partire
dalla percezione sensitiva diretta dell’oggetto, né da una dimostrazione
razionale di ciò che ritiene per vero e intende asserire. Tanto meno i loro
percorsi sono del tipo dello scienziato, cui si impone di pervenire alla
conoscenza dell’oggetto nella sua purezza, nell’esclusione di ogni possibile
interferenza della sua soggettività. La teologia in aula prende atto del
modo di conoscere e di pensare le cose della fede nella vita delle grandi
masse religiose, ma poi si permette di scavalcare il loro modo di pensare
per adottare il modo di pensare scientifico, nella chiarezza dei concetti
e nel rigore della logica dell’argomentare. Lo hanno fatto i vescovi nella
solenne aula del concilio di Calcedonia; ma quando, dopo il concilio,
l’imperatore Leone I chiedeva loro quale fosse il loro giudizio sull’evento,
un certo vescovo Euippo gli rispondeva di tenere presente che in concilio
si era proceduto aristotelice e non piscatorie2. Egli coglieva in tal modo
l’esistenza di due modi diversi di parlare della fede e di interrogarsi sulle
cose che si credono.
Pierre Bourdieu, l’antropologo ben noto per i suoi apporti, al di là delle
sue ricerche sul campo, alla problematica epistemologica, nel corposo
saggio del 1980 Le sens pratique3, analizza con acribia le differenze che intercorrono fra il modo di conoscere dello scienziato nelle sue ricerche e
il modo di conoscere dell’uomo comune nella vita comune. Lo farà in seguito,
con risultati sorprendenti quando, ritornando a operare da antropologo
sul campo, assumerà a oggetto dell’indagine la “tribù”, cui egli stesso
appartiene, quella dei professori universitari: come pensa, come discerne,
come decide l’intellettuale, quando, uscito dal suo laboratorio o dalla biblioteca,
si ritrova con i colleghi a discutere e decidere sull’andamento della
vita accademica?4 Il metodo scientifico impone al ricercatore l’imperativo
di oggettivare l’oggetto della sua ricerca, la res, escludendo radicalmente
qualsiasi interferenza del soggetto e dei suoi interessi personali nell’oggetto
dell’indagine. Bourdieu ritiene l’imperativo, imposto dogmaticamente
al ricercatore scientifico, di estraniare sé stesso dall’oggetto dell’indagine,
utopico e, alla fine, del tutto falsificante. Subirlo conduce, infatti, questo
spettatore “imparziale” del mondo, interessato a comprendere solo per
comprendere, ad attribuire il suo stesso modo di procedere agli agenti che
assume a oggetto della sua ricerca, come se tutti intendessero comprendere
per comprendere e non, invece, come accade nella maggioranza dei casi,
comprendere per agire5. Egli denuncia il trionfalismo della ragione teorica,
che intende raggiungere l’oggetto emarginando l’apparenza, scavalcando la
doxa per tendere all’episteme, trascurando il senso comune per arrivare alla
scienza. Il suo linguaggio è determinato da una sua finalità senza fine e le
cose di cui egli parla sembra esistano solo per essere interpretate6. Ne deriva
la collocazione nell’ambito del reale anche di ciò che esiste solo nel pensiero7.
Ci si inibisce di riconoscere che esistono vie diverse della conoscenza,
la via di quel che appare e la via di ciò che è al di là di quel che appare, le
vie del senso comune e la via della scienza. Dalla presunzione della scienza
di essere l’unico modo valido di conoscere le deriva l’impotenza a […]