FOCUS
Emanuele Iula SJ, L’etica nella riparazione
Ascolto – Etica – Pazienza – Ripara zione – Sentire
STUDI
Fabrizio Ilardo, Ferite (in)sanabili: una lettura
teologico-fondamentale dei legami spezzati nella fraternità
Esempi di mediazione in san Francesco d’Assisi
Coscienza – Cer vello – Cognitivismo – Cognizione incar nata –
Ecologia
Guilhem Causse SJ, Réparation: peine, soin, pardon
écart – justice restaurative – pardon – réversibilité du
temps – victime
Emanuele Iula SJ, Il problema del tempo nei processi
di riparazione
Conflitto – Incontro– Phar makon – Ripara zione – Tempo
NOTE E DISCUSSIONI
Anna Ponente, Il campo analitico come luogo di riparazione
Campo re lazionale – Controtra nsfer t – Mediazione umanistica –
Psicoanalisi – Valdesi
Giulia C.M. Oriani, Il riconoscimento della protezione
internazionale: un percorso riparativo?
Giustizia – Migra zioni – Protezione inter nazionale – Richiedenti
asilo – Ripara zione
Mario Farci, Riflessioni a margine dell’ultimo Congresso
ATI / 1: i (nuovi) ministeri
Abusi – Ecclesiologia – Immaginar io – Liturgia – Restora tive justice
Recensioni
Indice dell’annata 2023
Emanuele Iula SJ*
L’etica nella riparazione
Il testo propone di mettere a fuoco la portata etica della riparazione,
soprattutto in merito al modo d’essere auspicato per
coloro che intendono farsi carico di una tale responsabilità.
Dopo aver introdotto i concetti di ascolto, sentire e pazienza,
vengono presentati i contributi del Convegno, intitolato “Il lavoro
di riparazione”, 3-4 marzo 2023.
The essay focuses the ethical range of reparation. A special attention
is given to the description of the basic attitude needed
by the operators of reparation, because of the high responsibility
that they have to bear. Concepts of hearing, sensing
and being patient with others are introduced. Finally, there is
a presentation of the contributions given by different Authors
in the Conference titled “The Work of Reparation” – 3rd-4th
March 2023.
Rassegna di Teologia 64 (2023) 437-451 437
Focus
«Io sono figlia dell’odio. È un odio che ho geneticamente.
A otto mesi di gravidanza mia madre veniva
inseguita dai fascisti. Il fantasma del fascista c’è,
ma visti i nostri discorsi è proprio nel nemico che si
può trovare valore»1.
Iniziare un discorso sulla riparazione commentando parole
come quelle che aprono questo quaderno di Rassegna di teologia
mi espone non poco al rischio di essere banale, o peggio ancora
ridondante. Eppure credo che esse siano radicate nella medesima energia
vitale che sospinge il lavoro di riparazione, e con esso anche tutte le persone
che vi prendono parte. Non è difficile riconoscere le forti rigidità,
rese dai riferimenti all’odio, al fascismo, o al nemico. Così come non
manca una genuina testimonianza di umanità, che leggiamo in parole
come gravidanza, maternità e valore. In queste parole, tutto è detto. Ma
nell’essere detto tutto, l’impressione che ne ricavo è che molto rimanga
ancora da dire.
In questa sede non ricostruirò la storia della lotta armata, da cui è
tratta la testimonianza citata, né delle rivendicazioni, né delle numerose
vittime. Approfitterò piuttosto di queste pagine introduttive per
dare voce a quell’ancora da dire, da fare e da scrivere di cui si occupa
il lavoro di riparazione. Chi parla di riparazione non può fare a meno
di riferirsi alla Giustizia riparativa e al suo metodo innovativo, ben
lungi dal considerarsi superato. Si potrebbe pensare che un approccio
di questo tipo sia fruibile solo nell’ambito di problematiche su scala
internazionale – guerre, conflitti armati, reti di criminalità organizzata,
ecc. –, oppure su crimini particolarmente efferati – stragi, violenze o
reati gravi –, che trovano nelle aule di un tribunale il luogo proprio per
essere discussi. La prima cosa da fare per accedere in maniera più spicciola
a quella che su un alto livello istituzionale chiamiamo Giustizia
riparativa consiste nel considerarla a portata di mano. La riparazione
non è materia da specialisti, ma è per tutti coloro che pensano che
rapporti interpersonali frammentati, conflittuali, saturi di tanti ricordi
infelici, possano in qualche modo tornare a vivere. Da questa osservazione
risultano già evidenti almeno due premesse. La prima è che
la riparazione non è assoluta, né incondizionale. Essa necessita di una
base umana minimamente fertile al desiderio di restituire vita e dignità
alle situazioni che l’hanno persa. La seconda è che il dolore, la perdita,
nonché alcune brutte esperienze del passato non sono irreversibili, non
hanno l’ultima parola sul presente, né possono rivendicarla. Queste
due premesse restituiscono già una chiave di volta dell’intero progetto
riparativo, dichiarandone al tempo stesso le ambizioni più alte. Si tratta
di un principio unico, che risiede nelle motivazioni personali di cui
dispone colui che si confronta con tale lavoro, incluse le sue inevitabili
vicissitudini. Dalla personale adesione deriva la spinta verso l’altro e
verso la vita. Da questa stessa spinta deriva anche l’atteggiamento nei
confronti del male, perpetrato o subito. Non ci si improvvisa riparatori
proprio perché determinate motivazioni, anche se hanno un che di
spontaneo, devono essere coltivate in una direzione specifica. In caso
contrario, si rischierebbe di diventare giustizieri. Per questa ragione, il
bandolo della matassa della riparazione va precisato in alcune disposizioni
che presiedono gli atti e gli atteggiamenti che li ispirano, e che
sono di fondamentale importanza per portare avanti il lavoro nel migliore
dei modi. Parliamo di tre elementi principali, che sono l’ascolto,
il sentire e la pazienza.
Il primo elemento che occorre distillare per giungere a una formulazione
più chiara dell’etica nella riparazione è senz’altro l’ascolto. Posto
che si tratta di un atteggiamento raccomandabile per tante situazioni, va
detto che esso tradisce già, per così dire, il debito che la Giustizia riparativa
ha nei confronti del sapere biblico. «Ora, Israele, ascolta le leggi e
le norme che io vi insegno, affinché le mettiate in pratica, perché viviate
ed entriate in possesso della terra che il Signore, Dio dei vostri padri, sta
per darvi» (Dt 4,1). Così recita un versetto tratto dal libro del Deuteronomio,
dell’Antico Testamento. Osserviamo un atteggiamento recettivo
fondamentale, che Dio auspica per il popolo di Israele, come fosse un
sinonimo di fedeltà al legame. Il servo fedele è il servo che ascolta. Il
popolo fedele è il popolo che ascolta e si fa guidare. Il versetto lascia
inoltre intendere che il Popolo di Dio non legifera in modo autonomo,
ma lascia che sia Dio stesso a farlo per lui. Anche se lo scenario posto in
essere dalle prassi di riparazione non è identico a quello della rivelazione
biblica, non mancano, nell’intuizione dei primi teorici della Giustizia
riparativa, alcuni punti di contatto con la teologia di cui il versetto citato
è portatore.
Trovandoci in un contesto normativo, l’esigenza di ascolto è indicazione
necessaria per comprendere che l’iniziativa va lasciata all’altro, che
in questo caso è Dio. Non si tratta di un’iniziativa generica, né relativa
a interessi immediati per cui servono soluzioni, accordi o intese di vario
genere. Essa è finalizzata a un obiettivo preciso, distante nel tempo e nello
spazio, ed è in virtù di questo che esprime la forma del rapporto che
in essa viene stipulato. In una situazione problematica, come quelle che
spesso si incontrano nell’ambito della Giustizia riparativa, lo scenario con
cui ci si confronta è di tutt’altro genere. Il riferimento all’ascolto rimane
però valido perché orienta la discussione fondandola in un migliore senso
dell’altro, innanzi tutto in termini di rispetto. Ad esempio, quando si
è in mediazione, i mediatori sanno bene che all’inizio è il conflitto che
fa le regole. È il problema, la ferita, il trauma subito che suggerisce come
ci si può porre nei suoi confronti e da dove cominciare. Questo non è
sufficiente a garantire un elevato senso dell’altro nelle persone in mediazione.
Lo fa però rispetto ai mediatori. Per quanto riguarda invece coloro
che sono in conflitto, il metodo migliore per favorire questa disposizione
è lasciare spazio alle differenti narrazioni del conflitto, che implica in […]