La figura di don Orione è presentata con un linguaggio brillante e alquanto scanzonato che i lettori di A. Pronzato conoscono molto bene.Attraverso il racconto dei vari eventi che hanno segnato la vita di questo prete, è palpabile l'intervento di Dio in mille modi, talvolta persino fuori dall'ordinario. Interventi che, però, hanno trovato nel cuore e nella mente di don Orione una adesione completa ai disegni della Provvidenza, anche quando risultassero difficili da comprendere e più ancora da accettare.La disponibilità senza sosta, a volte eroica, nel farsi carico dei bisogni altrui, l'accoglienza sempre benevola e la capacità di perdono, fanno di quest'uomo un esempio vivente del Vangelo. Le sue fondazioni e opere varie, in Italia e all'estero, sono di un numero impressionante. A ogni bisogno che riscontrava nella società corrispondeva subito un effetto mobilitante: "Che cosa posso fare, quale aiuto posso dare?". Una delle sue massime: "A chi bussa alle nostre Case non chiedete il suo nome, ma chiedete soltanto se ha un dolore".
PREFAZIONE
di Alessandro Pronzato
Scoperto il colpevole: è l'autore del libro (forse anche il lettore).
Questo è un libro che avrei dovuto scrivere oltre vent'anni fa, appena ordinato sacerdote.
Me l'aveva proposto, con quel suo faccione bonario e l'aria accattivante, don Giovanni Barra. « Un lavoro facile, ti piacerà », era stata la sua perfida insinuazione. E... tanto per facilitarmi la fatica, mi aveva spedito un quintale di volumoni, documenti, testimonianze, riviste, ritagli di giornale. Ebbe, però, la malaugurata idea di farmi avere una fotografia. Rimasi fulminato. Mi procurai immediatamente un ingrandimento mostruoso, che appesi alla parete.
« Chi è quel brutto ceffo lì vestito da prete? », domandò allarmata mia madre.
« Un tipo di cui devo scrivere la vita ».
« Sarebbe meglio che tí occupassi di santi... », concluse severa.
Infatti. Studiai a lungo quel testone rapato con le due orecchie incredibili attaccate come manici. Un'aria banditesca, un che di strambo, oserei dire di demente. Ma c'erano quei due occhi accesi, dolcissimi, penetranti. C'era, soprattutto, quello squarcio enorme rappresentato dalla bocca atteggiata al sorriso. Insomma, un tipo losco che non vorresti incontrare, da solo, lungo una strada buia. E, nello stesso tempo, un individuo meraviglioso che rincorreresti per tutta la terra pur di sentirti puntare addosso quei due occhi eccezionali.
Ti verrebbe voglia di afferrarlo per i due manici e mandare in frantumi quel testone per vedere cosa c'è dentro, per impossessarti del segreto che nasconde, rintracciarvi il lampo che lo accende, la molla che mette in movimento tutto. Intuivo che in questo personaggio c'era il manigoldo, il santo, il pazzo, il genio, il rivoluzionario, il mistico, l'agitatore, íl pacificatore, il giramondo, l'uomo di casa, e chissà cos'altro ancora. Non finivo di studiare, di imparare quel ritratto.
Rinunciai a scrivere il libro. Perché don Barra aveva fretta. E io, in parecchi mesi, avevo appena abbozzato (neppure scritto!) il capitolo d'apertura, in cui entrava in scena un ragazzino che, impugnando una fascina e sollevando un polverone da non dirsi, metteva ín fuga i notabili sfaccendati del paese.
Più di vent'anni dopo mi è stata offerta l'occasione di scrivere veramente il libro, per... colpa di quello sperimentato conoscitore del continente-Orione che è don Pirani.
Stavolta scavai, indagai nella valanga di carta stampata. E, a mano a mano che procedevo nell'esplorazione, mi accorgevo che le notizie assomigliavano perfettamente al personaggio che mi era entrato dentro attraverso il ritratto appeso alla parete.
Questo è un libro che permette di fare bella figura anche a un imbrattacarte da strapazzo come me. La materia è talmente bella, ricca, varia, affascinante, che ne vien fuori, obbligatoriamente, il capolavoro. Perché il capolavoro è lui. Il miracolo è la sua vita. Certi amici insistono da tempo perché mi decida a scrivere un romanzo. Eccoli accontentati. Il romanzo è servito.
Questo è un libro di avventure romanzesche dove non ho avuto bisogno di inventare niente. Perché la realtà supera abbondantemente la fantasia più sfrenata. Un romanzo dove la sorpresa, l'incredibile, il colpo di scena si trovano a ogni pagina, dove l'impossibile lo scopri in ogni angolo, dove il fiato sospeso è l'unica chiave di lettura. E senza la benché minima caduta di ispirazione, di tensione. In questo romanzo scavato nella cronaca più documentata non manca e neppure il « giallo ».
Il « giallo », voglio dire, che ti fa drizzare le antenne per scoprire il colpevole. Soltanto che questo è un « giallo » particolare. Forse unico. Infatti vieni a sapere, fin dalle prime battute, che il colpevole è l'autore del libro.
E colpevole, forse, è anche il lettore. Per lo meno, fortemente indiziato. Qui vengono snocciolate prove schiaccianti. Ce le fornisce quel santo-pazzo-canaglia-avventuriero di don Orione. Sì. Ci ritroviamo colpevoli. Colpevoli di aver soffocato la fantasia, fatto fuori l'amore, fatto sparire il coraggio, abbandonato la pazzia. Colpevoli perché ci vergogniamo di avere un cuore, manifestare dei sentimenti. Colpevoli per uso illegittimo del nome di cristiano.
Meglio dirlo subito: questo libro è una « spia » insopportabile.
Con l'aria di fornirci informazioni su un tipo un po' strambo come don Orione, finisce per rivelarci chi siamo noi. Meglio, ci accusa impietosamente per ciò che non siamo. Ci dice che risultiamo « irriconoscibili ». E la prima vittima, ahimé, sono io. Quella fotografia mi ha rovinato, fin dal primo momento. Sento, perciò, il dovere di avvertire: questo individuo bizzarro è uno spione. Non fidatevi del suo vestito « tradizionale ». Lui non ha bisogno di camuffarsi. Si presenta al naturale: un cristiano vero; un uomo autentico; un prete che è prete. Ed è pericoloso proprio per questo. Si qualifica per quello che è. Attenzione. Al suo passaggio, quando sciabola quei due occhi luminosi, c'è il rischio di venire scoperti.
Scoperti nelle nostre trame insignificanti, nelle manovre inconcludenti, negli attentati ridicoli, nelle sortite velleitarie, nelle chiacchiere inconcludenti, nelle congiure mediocri, nelle cospirazioni dell'egoismo, nella nostra vita sconclusionata.
Don Orione è uno che arriva dalle linee dell'impossibile. E viene a svelarci che è possibile...
Non ce lo sussurra. Grida. Insopportabile.
ESTRATTO DAL PRIMO CAPITOLO
UN SANTO NON È MAI RASSICURANTE
Tallonava da vicino la mamma, di ritorno dai campi dove erano andati a spigolare.
Ogni volta che passava vicino al caffè, non poteva fare a meno di sbirciare in direzione dei tavolini, che erano immancabilmente occupati da alcuni notabili del paese. Il ragazzino si sentiva ribollire dentro. Lui, fin da piccolo, era costretto a tirare una carretta boia. Mentre quelli si potevano concedere giornate di ozio e di chiacchiere insulse. Si riteneva offeso. Aveva l'impressione di patire un'ingiustizia intollerabile. Un giorno decise di rimediare. Si staccò, senza dare nell'occhio, dalla madre. Quindi, afferrando alcune frasche, prese a sbatterle furiosamente sulla strada, correndo avanti e indietro, sollevando un polverone che nemmeno nel deserto quando c'è tempesta di sabbia. I bighelloni furono costretti ad abbandonare precipitosamente gli amati tavolini.
In certa agiografia, ci si preoccupava di scoprire già negli anni dell'infanzia i « segni inequivocabili » della futura santità del grande personaggio. Per quanto riguarda don Luigi Orione, penso che proprio l'episodio della « sollevazione » caratterizzi meglio di ogni altro la sua personalità e l'azione futura.
Siamo di fronte a un individuo che coglie d'istinto l'assurdità di determinate situazioni. E interviene. Con i mezzi che tiene a disposizione.
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Gregorietta Florena il 6 settembre 2015 alle 01:06 ha scritto:
OTTIMA BIOGRAFIA. SEMBRAVA QUASI DI VEDERSELO COMPARIRE DAVANTI CON LA SUA TALARE E LA SUA VIVACE VOGLIA DI FARE. UN PERSONAGGIO FONDAMENTALE DELLA NOSTRA STORIA E CHE DOVREBBE ESSERE CONOSCIUTO MEGLIO ANCHE DA PARTE DI MOLTI CRISTIANI.