La recettività dell'intelletto
-Lonergan e la ripresa della gnoseologia scolastica nel XX secolo
(Università/Ricerche/Filosofia)EAN 9788834308998
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DETTAGLI DI «La recettività dell'intelletto»
Tipo
Libro
Titolo
La recettività dell'intelletto - Lonergan e la ripresa della gnoseologia scolastica nel XX secolo
Autore
Nash Marshall Siobhan
Editore
Vita e Pensiero Edizioni
EAN
9788834308998
Pagine
270
Data
2002
Collana
Università/Ricerche/Filosofia
COMMENTI DEI LETTORI A «La recettività dell'intelletto»
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Recensione di Luigi Sartori della rivista Studia Patavina
L’Autrice dello studio su Lonergan è una studiosa americana ma che vive a tratti in Italia, e parla e scrive con estrema disinvoltura e finezza la lingua di Dante; ama la filosofia tomista e in genere la scolastica, con intenzioni di dialogo acceso e fecondo con la modernità. Anche per questo ha tradotto e fatto conoscere in Italia un testo prezioso dello studioso p. gesuita americano W. Norris Clarke (Persona ed Essere, Guerrini e Associati, Milano 1999), ma, soprattutto, ora ci offre la presente opera di penetrazione ‘critica’ nel pensiero di uno dei più eccelsi e ben noti filosofi americani, anch’egli gesuita; opera che riprende la sua tesi di laurea (sempre in lingua italiana!) presentata e discussa qualche anno fa presso l’Università di Padova.
La Presentazione (pp. XI-XIV) è del prof. A. Ghisalberti, che l’ ha seguita nel lavoro della tesi di cui sopra. E a conclusione del volume incontriamo una Postfazione (pp. 247-250) della prof. Luisa Scimemi di San Bonifacio, amica della Siobhan, che aveva dato una sua preziosa Premessa anche per la lunga e profonda Introduzione (pp. 15-59) al citato volume di p. Clarke. P. Lonergan è autore originale e importante soprattutto perché ha tentato di rendere moderno il pensiero scolastico mostrando che anche un metafisico neotomista può assumere il primato del soggetto nell’affermare l’oggettività del conoscere umano, senza per questo cadere nelle posizioni scettiche come l’empirismo o divinizzanti la creatività del conoscere umano come l’idealismo. Lonergan, allora, mette in primo piano l’epistemologia, e intende mostrare che essa può essere considerata la ‘filosofia prima’ dalla quale derivano tutte le altre scienze filosofiche: non solo l’antropologia ma anche la metafisica, la teodicea, l’etica… Alla base del suo pensiero sta la ricchezza del ‘comprendere’ umano; l’intellettualità è la vita originalissima dell’uomo; quindi la ‘comprensione della comprensione’ può aprire a tutti i campi dell’essere. Appunto, Lonergan sostiene la complessità di tale attività o vita dell’uomo; e ovviamente la coniuga con le altre attività o presupposti o condizioni che le consentono di attuarsi, come il desiderio di conoscere (e non solo il vuoto dell’ignoranza) e la tensione verso l’‘ideale’ (e l’‘essere’), il momento della conoscenza dei sensi (o sperimentale)… Egli, a motivo della sua passione e competenza nel campo della matematica e della scienze, soprattutto fisiche, dà rilevanza al tipo di astrazione scientifica che, per conoscere la realtà, ricorre al metodo delle ‘ipotesi’ e poi delle ‘verifiche’, per costruire modelli interpretativi che sembrano altra cosa rispetto alla realtà sperimentabile. In tutto questo la nostra Siobhan nota il prevalere della conoscenza come ‘azione’; e quindi rileva troppa lontananza dal pensiero classico, in specie tomistico, per il quale il ‘pati’, il ‘ricevere’ l’oggetto, resta prioritario e fondamentale per il conoscere umano quanto alla sua autentica ‘oggettività’. Tuttavia, tali rilievi critici, la nostra Autrice non li getta addosso a Lonergan quasi dall’esterno, e da accusatrice. Rimane dentro al pensiero di Lonergan, lo provoca in avanti e a correzione, ma con lui e quale fermento di provocazione simpatetica. In effetti, lei ricorre di solito al criterio del ‘non solo’ e ‘anche’; Lonergan ammetterebbe tale combinazione, tale stare insieme e in reciproco rapporto, tra l’aspetto o momento attivo, dell’agire, e l’aspetto o momento passivo, del ricevere; ma egli sembra trascurare appunto il ‘pati’, la ‘recettività, che invece sta a cuore alla Siobhan. Questa ci si presenta come una audace voce critica pur restando voce amica; segue con penetrazione profonda il cammino del grande e originale pensatore che lei studia; cammina con lui ma con attenzione acuta e dialettica e gode quasi nel porlo alle strette con osservazioni e interrogativi di netta e quasi fredda razionalità. Amabile e esemplare duello, di due intelligenze ‘superiori’! Lavoro, perciò, interessantissimo.
Mi siano permesse alcune considerazioni; anche se non oso mettermi alla pari con tali esimi pensatori. Leggendo il volume, alto e difficile, ho maturato il desiderio che la studiosa Siobham svolgesse almeno qualche spunto di soluzione del problema del come armonizzare il ‘pati’ (la recettività) con l’‘agere’ (la parziale e subordinata creatività o novità) nel conoscere dell’intelletto umano. Si può continuare a tenere in vita la distinzione tra intelletto agente e intelletto possibile? Sapendo quante difficoltà si legano al tema dell’intelletto ‘agente’? Perché non fare riferimento all’Ipsum Esse Subsistens (a Dio) per relativizzare l’agire dell’intelletto umano in quanto ‘causa sui’? È vero che io parlo da teologo; ma la teologia può far luce sul processo della intelligenza umana, in quanto l’intelletto divino è creatore della realtà, dell’essere; e crea l’uomo con un intelletto che in qualche modo deve ricevere sì il dono della realtà creata (dell’intero cosmo, compreso l’essere umano), ma per in qualche modo ‘ri-produrla’, ‘ri-crearla’. In fondo l’uomo ‘ri-pensa’ l’essere per svilupparlo, lo pensa con Dio. Ecco la grandezza dell’uomo. Ecco il metodo delle scienze che fanno ipotesi, che tentano verifiche, che creano modelli interpretativi. Tutto il conoscere umano è ‘interpretare’; la realtà creata è un immenso ‘essere virtuale’, un fondale infinito di virtualità; evidenziare tale ricchezza di virtualità è conoscere come Dio la realtà, pensata e amata da Lui. Ricevendo crea; riceve anche in quanto la ricrea, la svolge… Il soggettivismo moderno, a mio parere, intende invece esaltare l’uomo come soggetto creatore divino, come Dio; perciò tutte le sue espressioni (soggetto attivo, intelletto attivo…) hanno un altro senso rispetto a quello di chi afferma l’esistenza del vero unico Dio. Ritengo che forse Lonergan, più o meno consciamente, ragiona sempre supponendo di fatto il riferimento a Dio, un po’ come io ho tentato qualche riga sopra di proporlo.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2005, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
La Presentazione (pp. XI-XIV) è del prof. A. Ghisalberti, che l’ ha seguita nel lavoro della tesi di cui sopra. E a conclusione del volume incontriamo una Postfazione (pp. 247-250) della prof. Luisa Scimemi di San Bonifacio, amica della Siobhan, che aveva dato una sua preziosa Premessa anche per la lunga e profonda Introduzione (pp. 15-59) al citato volume di p. Clarke. P. Lonergan è autore originale e importante soprattutto perché ha tentato di rendere moderno il pensiero scolastico mostrando che anche un metafisico neotomista può assumere il primato del soggetto nell’affermare l’oggettività del conoscere umano, senza per questo cadere nelle posizioni scettiche come l’empirismo o divinizzanti la creatività del conoscere umano come l’idealismo. Lonergan, allora, mette in primo piano l’epistemologia, e intende mostrare che essa può essere considerata la ‘filosofia prima’ dalla quale derivano tutte le altre scienze filosofiche: non solo l’antropologia ma anche la metafisica, la teodicea, l’etica… Alla base del suo pensiero sta la ricchezza del ‘comprendere’ umano; l’intellettualità è la vita originalissima dell’uomo; quindi la ‘comprensione della comprensione’ può aprire a tutti i campi dell’essere. Appunto, Lonergan sostiene la complessità di tale attività o vita dell’uomo; e ovviamente la coniuga con le altre attività o presupposti o condizioni che le consentono di attuarsi, come il desiderio di conoscere (e non solo il vuoto dell’ignoranza) e la tensione verso l’‘ideale’ (e l’‘essere’), il momento della conoscenza dei sensi (o sperimentale)… Egli, a motivo della sua passione e competenza nel campo della matematica e della scienze, soprattutto fisiche, dà rilevanza al tipo di astrazione scientifica che, per conoscere la realtà, ricorre al metodo delle ‘ipotesi’ e poi delle ‘verifiche’, per costruire modelli interpretativi che sembrano altra cosa rispetto alla realtà sperimentabile. In tutto questo la nostra Siobhan nota il prevalere della conoscenza come ‘azione’; e quindi rileva troppa lontananza dal pensiero classico, in specie tomistico, per il quale il ‘pati’, il ‘ricevere’ l’oggetto, resta prioritario e fondamentale per il conoscere umano quanto alla sua autentica ‘oggettività’. Tuttavia, tali rilievi critici, la nostra Autrice non li getta addosso a Lonergan quasi dall’esterno, e da accusatrice. Rimane dentro al pensiero di Lonergan, lo provoca in avanti e a correzione, ma con lui e quale fermento di provocazione simpatetica. In effetti, lei ricorre di solito al criterio del ‘non solo’ e ‘anche’; Lonergan ammetterebbe tale combinazione, tale stare insieme e in reciproco rapporto, tra l’aspetto o momento attivo, dell’agire, e l’aspetto o momento passivo, del ricevere; ma egli sembra trascurare appunto il ‘pati’, la ‘recettività, che invece sta a cuore alla Siobhan. Questa ci si presenta come una audace voce critica pur restando voce amica; segue con penetrazione profonda il cammino del grande e originale pensatore che lei studia; cammina con lui ma con attenzione acuta e dialettica e gode quasi nel porlo alle strette con osservazioni e interrogativi di netta e quasi fredda razionalità. Amabile e esemplare duello, di due intelligenze ‘superiori’! Lavoro, perciò, interessantissimo.
Mi siano permesse alcune considerazioni; anche se non oso mettermi alla pari con tali esimi pensatori. Leggendo il volume, alto e difficile, ho maturato il desiderio che la studiosa Siobham svolgesse almeno qualche spunto di soluzione del problema del come armonizzare il ‘pati’ (la recettività) con l’‘agere’ (la parziale e subordinata creatività o novità) nel conoscere dell’intelletto umano. Si può continuare a tenere in vita la distinzione tra intelletto agente e intelletto possibile? Sapendo quante difficoltà si legano al tema dell’intelletto ‘agente’? Perché non fare riferimento all’Ipsum Esse Subsistens (a Dio) per relativizzare l’agire dell’intelletto umano in quanto ‘causa sui’? È vero che io parlo da teologo; ma la teologia può far luce sul processo della intelligenza umana, in quanto l’intelletto divino è creatore della realtà, dell’essere; e crea l’uomo con un intelletto che in qualche modo deve ricevere sì il dono della realtà creata (dell’intero cosmo, compreso l’essere umano), ma per in qualche modo ‘ri-produrla’, ‘ri-crearla’. In fondo l’uomo ‘ri-pensa’ l’essere per svilupparlo, lo pensa con Dio. Ecco la grandezza dell’uomo. Ecco il metodo delle scienze che fanno ipotesi, che tentano verifiche, che creano modelli interpretativi. Tutto il conoscere umano è ‘interpretare’; la realtà creata è un immenso ‘essere virtuale’, un fondale infinito di virtualità; evidenziare tale ricchezza di virtualità è conoscere come Dio la realtà, pensata e amata da Lui. Ricevendo crea; riceve anche in quanto la ricrea, la svolge… Il soggettivismo moderno, a mio parere, intende invece esaltare l’uomo come soggetto creatore divino, come Dio; perciò tutte le sue espressioni (soggetto attivo, intelletto attivo…) hanno un altro senso rispetto a quello di chi afferma l’esistenza del vero unico Dio. Ritengo che forse Lonergan, più o meno consciamente, ragiona sempre supponendo di fatto il riferimento a Dio, un po’ come io ho tentato qualche riga sopra di proporlo.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2005, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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