L´acqua di Rebecca. Ricerca di Dio e deserto dell´uomo nella letteratura del ´900

Perché sei cristiano? La domanda potrebbe sorprendere qualcuno, e così fu per Timothy Radcliffe allorché essa gli venne posta da un amico. Ne seguì una risposta inaspettata: un libro affascinante e insolito, sorprendente nell’attualità dei temi trattati, attraente nelle proposte di riflessione. Un testo capace di rispondere alla sete più profonda del nostro tempo: quella di una vita che sia non solo buona, ma anche bella, attraente e felice. Un libro in cui, prendendo lo spunto dal racconto evangelico dell’Ultima Cena e restando fedele a questo filo conduttore, l’autore descrive il cristiano come una persona ben lontana dai luoghi comuni ad esso attribuiti, ancora ai nostri tempi, che lo descrivono come un essere antiquato, represso, triste. Ma se il cristianesimo non attira i giovani, non sarà forse perché la vita dei cristiani è stata realmente, per lungo tempo, poco attraente? Affascinante è, invece, il volto del credente quale viene qui tratteggiato con pennellate efficaci: chi non sarebbe attratto, infatti, da un uomo o una donna che fossero realmente felici, coraggiosi, liberi? Perché non provare a sentirci ‘a casa’ nel nostro corpo, nelle nostre realtà familiari o comunitarie e nel mondo globale? Preziose come poche gocce d’acqua nel deserto, scorrevoli come torrente limpido e fluente, le pagine di questo libro si mostrano capaci di dissetare chi voglia oltrepassare i confini della parola, oggi sempre più abusata e offesa dalla banalità, per scoprirne, invece, l’autentica, originaria vocazione. Poeti e narratori del secolo appena trascorso sono presentati con passione, fedeltà e professionalità da filologi, letterati, filosofi e teologi delle nostre Facoltà italiane. Gli autori presi in considerazione, pellegrini nelle oscure strade dell’uomo contemporaneo, uomini e donne di lingue e culture differenti, si misurano con la crisi di senso del ‘900. Attraverso essi, scopriamo che il deserto, ambiente interiore quanto mai ostile e doloroso, può inaspettatamente rivelarsi anche terra fertile di crescita, di ricerca, di anelito all’infinito e alla vita. Dopo l’amara esperienza del trionfo della razionalità umana a scapito di ogni fede, cui è seguita una profonda disillusione e perdita di orientamento da parte dell’uomo, questi poeti e narratori, accettando di esporsi all’arsura della vita, e di raccontarla, non hanno nascosto una profonda ansia di ricerca, a volte disperata, di risposte. E differenti sono stati i loro percorsi interiori. Tutti, però, manifestano il coraggio di percorrere le strade comuni dell’uomo, e di esporsi al proprio vuoto interiore. La poesia diventa, allora, bestemmia o preghiera, ma sempre anelito, domanda, ricerca, espressione di sete e sguardo verso un “oltre”. L’assenza di Dio si trasforma, paradossalmente, in teofania quanto mai evidente, perché la sua presenza nella storia si manifesta proprio attraverso l’apparente separazione e l’infelicità che l’uomo sperimenta in questo esilio del cuore. Le parole divengono, allora, celebrazione di un incontro, accorata preghiera, espressione di amore e dolore. Ricordiamo, qui, Christophe Lebreton, un monaco trappista di Tibhirine (Algeria), ucciso insieme ai suoi confratelli nel maggio 1996 da estremisti islamici. G. Festa, filologo e storico, nel suo affascinante saggio, contenuto in questo libro, racconta il percorso interiore di questo personaggio, proprio attraverso la lettura di alcune pagine del suo diario. Ci informa, pertanto, di come egli affidò alle nude parole il compito di esprimere la realtà del mistero divino che solo può colmare il deserto del dolore, dell’ingiustizia, della violenza: mistero di amore a di passione che, infine, spegne le parole e le trasforma in silenzio, in vita donata, in martirio di amore.

Gli autori di questo libro, ripercorrono alcune pagine di poeti e narratori quali Clemente Rebora, Eugenio Montale, Mario Luzi, Vittorio Sereni, Charles Du Bos, T. S. Eliot e Muriel Spark, alla ricerca della loro esperienza del deserto e della ricerca di Dio. “Le labbra di un dotto maestro sono come un favo stillante”, scrive G. Barzaghi, parafrasando S. Tommaso, “quando riescono a comunicare molte cose nobili con poche parole”.

E noi pensiamo che gli autori di questo libro siano riusciti nell’intento!

Voto: Molto Buono

Consigliato specialmente a: studiosi, educatori, operatori pastorali, teologi, filosofi, letterati e appassionati della letteratura.