La schiena di Dio

Questo sconcertante inizio del XXI secolo risulta caratterizzato in troppe parti del pianeta da una violenza senza limite, e soprattutto dalla paura reciproca di una diversita percepita come minaccia. In un libro di straordinaria attualita, Giuseppe Grampa prende le mosse da una forte preoccupazione che, a meno di non essere evasivi ed insensibili, dobbiamo certo condividere. La preoccupazione per un umanita che, smarrita di fronte ad un ritmo di cambiamenti difficilmente sostenibile sia istituzionalmente che psicologicamente, reagisce con una sorta di regressione tribale e settaria, con un riflesso che e magari sostanzialmente difensivo, ma che, in una perversa sovra-compensazione traduce la difesa in aggressione, la paura in violenza, la debolezza in ferocia, il disorientamento in fanatismo.

Fin dalle primissime pagine, viene resa esplicita una premessa essenziale: il fatto che il fanatismo non sia purtroppo prerogativa di certe fedi, di certe culture, ma da un lato possa colpire i piu diversi ambiti dell esistenza, e dall altro possa costituire una degenerazione di qualsiasi messaggio anche religioso. Nel momento in cui si condanna giustamente e fermamente il fanatismo che oggi appare come il piu virulento, il piu minaccioso, quello che strumentalizza la fede islamica, scrive l Autore, non dobbiamo dimenticare forme di fanatismo che hanno strumentalizzato la fede cristiana.

Su questo sfondo, la voce pacata di Giuseppe Grampa ci accompagna con convincente sistematicita lungo sette vie contro il fanatismo.

Non voglio togliere al lettore il piacere di seguire questi percorsi, di scoprire i vari passaggi, i ponti, le curve e i rettifili. Mi limitero quindi - evitando di sforzarmi di percorrere lintero itinerario, e soprattutto senza pretesa di oggettivita- a segnalare i punti che ho trovato particolarmente rispondenti alla mia sensibilita, alle mie priorita etiche.

Il primo risiede nella chiara distinzione fra dialogo e tolleranza. La tolleranza, infatti, e una virtu fredda, una sorta di rete di sicurezza minima che previene il conflitto. Dovremmo almeno essere tolleranti.

Ma Giuseppe Grampa ci indica una meta ben piu sostanziale, piupositiva: quella del riconoscimento della positivita dellaltro, la cui differenza non va sopportata, bensi apprezzata, e riconosciuta attraverso un processo dialogico. E il dialogo, appunto, ad essere messo al centro del discorso sviluppato in tutto il libro: un dialogo che non mira mai a una sintesi unficante di culture e identita, un dialogo che contrariamente a quanto sostengono i violenti fautori della chiusura, del rifiuto dellaltro non solo non porta allappiattimento e allannullamento delle varieta culturali ed umane, ma anzi, come scrive esplicitamente Grampa, rafforza lidentita.

Dialogo come antidoto alla paura, come via di conoscenza non superficiale dellaltro, come affermazione serena di un se che in nessun modo potrebbe riuscire a definirsi, se non in termini di ossessione e fobia, in un isolamento solipsista, ma che esiste sempre e solo in relazione allaltro. E, cosa altrettanto importante, dialogo visto non solo come requisito essenziale dellidentita, ma come via per ricomporre la somiglianza giocando con le differenze.

E proprio questo, credo, il messaggio fondamentale del libro: il riconoscimento del valore ineliminabile della diversita, ma nello stesso tempo il rifiuto di ammettere che sia possibile negare i profondi legami di comune umanita che ci uniscono.

Credo che questa indicazione sia lunica che ci permetta di orientarci fra i dilemmi della globalizzazione. Una fase della civilta umana che da un lato tende, sotto il profilo delleconomia e della tecnologia, a unificare il mondo, ma dallaltro mette in moto controspinte fatte di paura del potere altrui, sospetto della diversita, preoccupazione per la possibilita di essere travolti, e assimilati, da altri modi di essere umani, di concepire il mondo, la societa, la stessa trascendenza.

Grampa non fa riferimento all attualita, al qui ed ora, ai problemi che dobbiamo quotidianamente affrontare nella nostra societa, eppure il lettore non potra fare a meno di riferire questa sua alta riflessione alle problematiche che oggi ci sfidano, ci mettono di fronte a dilemmi sia morali che politici. Primo fra tutti, quella immigrazione che ha portato il diverso fra noi. Troppo facile era, per noi italiani, criticare altrui chiusure, altrui razzismi, e avere di noi stessi una visione lusinghiera di apertura e grande umanita. Oggi siamo invece messi alla prova, e non sempre la superiamo onorevolmente.

E per questo motivo che un libro come questo non e soltanto di estremo valore intellettuale, ma fornisce anche una preziosa indicazione su come muoverci di fronte a quella sfida della diversita alla quale esendo storicamente vissuti in una societa sostanzialmente omogenea sotto il profilo etnico, culturale, religioso - non eravamo preparati.

E unindicazione che rifugge dalle facili risposte, che non ci esime dalla accettazione di una difficile, ineliminabile tensione fra quanto di comune e quanto di diverso abbiamo rispetto ai nostri simili. Ma proprio perche non da risposte facili, consolatorie, autoreferenziali, si tratta di un richiamo moralmente alto, impegnativo, non facile.

Risulta chiaro, dalle pagine di questo libro, che non ci sara mai, non ci puo essere, una soluzione finale del problema di come combinare diversita e convivenza. Che non esiste la soluzione di una assimilazione che e o una illusione volontarista, vista lincoercibilita delle differenze umane o, peggio, una truffa ideologica, visto che si cerca di contrabbandare per universalismo l imposizione di una particolare cultura, di uno dei tanti modi possibili di essere umani. Ma non esiste nemmeno la possibilita, a meno di non accettare una pericolosissima frammentazione socio-culturale ai limiti del tribalismo, di andare in direzione di un multiculturalismo che accetta passivamente, o addirittura fomenta, le differenze senza porsi il problema della loro compatibilita in chiave di convivenza e soprattutto in rapporto alla necessaria base di regole comuni.

Ma e proprio questo il messaggio implicito che percorre lintero volume: il richiamo ad affrontare con coraggio e fermezza le prove e i dilemmi dellesistenza umana, a non accontentarci di luoghi comuni e del conformismo purtroppo dominante. Sono certo che i giovani, a cui credo avendo conosciuto lAutore che questo libro sia soprattutto diretto, saranno molto sensibili a un messaggio di questo genere, e ne ricaveranno un forte sostegno al loro compito, forse piu difficile di quello affrontato da generazioni precedenti, non solo di comprendere un mondo in rapido e spesso sconcertante cambiamento, ma di trovare una propria collocazione materiale, morale, spirituale nel suo ambito.

Colpisce, in don Giuseppe Grampa, lintensita di una fede che, pur nella serena convinzione del proprio messaggio, resta profondamente rispettosa del passo umano. Che suggerisce, accompagna, invita, invece di dettare, predicare, imporre. Dobbiamo essergli grati, fra laltro, per aver ripreso lo straordinario documento di fede e umanita che ela lettera di Padre Christian, il Priore dei sette monaci trappisti trucidati da fondamentalisi islamici sulle montagne dellAtlante nel 1996. Un messaggio scritto con la precisa consapevolezza di una possibile tragica fine, ma privo di amarezza, privo persino della sacrosanta indignazione che la vittima innocente puo provare nei confronti dellingiusto carnefice. Raramente, ai nostri giorni, ci e stato dato di venire in contatto con un messaggio cosi puro, cosi intenso, di fede cristiana. Ricordo la commozione di quando per la prima volta lessi la versione integrale di questo messaggio nella rivista francese Esprit. Non un messaggio sacrificale, non una ricerca di martirio (pensiamo a questa frase : La mia vita non vale piu di un altra, ma neanche di meno). Piuttosto, l accettazione di un rischio, la scelta lucida di mettere la propria vita a disposizione della fede in Dio e nell umanita un umanita vista senza illusioni nei suoi limiti, nei suoi errori, nei suoi crimini, ma mai disprezzata, sempre amata.

Ma oltre alla intensita della fede - intesa non come orgogliosa e militante affermazione di diversita, ma come apertura allaltro - vi e un altro importante antidoto al fanatismo che ci viene indicato da Giuseppe Grampa: la capacita di dire di no. Anche se non usa il termine, lAutore ci fa comprendere di ritenere che il dissenso sia unessenziale dimensione umana nella misura in cui impedisce di accodarsi al conformismo sempre sordo e spesso addirittura omicida. Lesperienza storica (penso soprattutto agli scempi dei totalitarismi del XX secolo) ci ha dimostrato che, piu che il sadismo patologico o lesistenza di mostri unipotesi falsa e consolatoria, nel senso che tranquillizza tutti quelli che mostri non sono le grandi violazioni di diritti umani, le stragi e i genocidi, sono stati resi possibili dalla presenza di individui conformisti, incapaci, appunto, di dire di no.

Con estrema chiarezza, fin dalla primissime pagine del libro, l Autore (nel definire la quarta via: il pirmato della coscienza) scrive: Sappiamo che il fanatismo nasce e si incrementa laddove viene meno l istanza critica della coscienza, sommersa dalla pressione dell ambiente, della massa. Per questo la salvaguardia di una coscienza libera e critica e argine al fanatismo.

Seguono, nel libro, una forte rivendicazione della liberta come essenza della stessa fede religiosa, una riaffermazione dell uomo come fine e non come mezzo, con la conseguenza della sacralita della vita umana, la denuncia di ogni teocrazia.

Non ritengo di essere competente a mettere in rilievo gli aspetti piu propriamente religiosi del libro. Ma quello che mi sembra importante sottolineare e che se ne percorriamo le pagine con lattenzione che meritano per la loro profondita, la loro intensita, alla fine ci risultera molto piu facile delegittimare tutti coloro i quali pretendono di giustificare la loro disumana violenza con un blasfemo richiamo a Dio. Per un cristiano ma Grampa fa intendere di essere convinto che questo dovrebbe essere vero anche per i fedeli di altre religioni la via della violenza, della negazione della vita umana, a qualsiasi titolo, dovrebbe essere impercorribile.

Quali sono, secondo l Autore, i punti fondamentali su cui costruire il dialogo inter-religioso? Subito Grampa, per evitare ogni equivoca riduzione della religione alla sola etica, chiarisce : Sm.,m olo custodendo la trascendenza di Dio se ne evita la cattura fanatica, la strumentalizzazione . Evitando ogni confusione teologica, ogni facile buonismo (ne sono testimoni le pagine lucidamente critiche sulle sette), Grampa cerca tuttavia di trovare quel nucleo universale, che e di natura etica piuttosto che ontologica e trascendente, che accomuna i vari messaggi religiosi, e che quindi puo costituire una solida base di dialogo. Importante, a questo proposito, e la citazione di Horkheimer, laddove il pensatore della scuola di Francoforte definisce la religione come nostalgia di perfetta e consumata giustizia, come il rifiuto ad ammettere che l ingiustizia possa essere l ultima parola. E su questo nucleo, un nucleo di speranza, che possiamo riscontrare coincidenze capaci di permettere il superamento di ostilita, disprezzo, violenza.

Il fanatismo, in altre parole, non e vera fede, ma una sua perversione. E aggiungo che inevitabilmente esso costituisce uno schermo ideologico dietro il quale si nascondono interessi concreti, ambizioni di potere, freddo calcolo di dirigenti che spesso fanatici non sono, ma che fomentano con gli strumenti della propaganda il fanatismo dei loro seguaci per spingerli alla violenza e in tal modo consolidare il proprio potere o realizzare mire di conquista o saccheggio.

Non so se don Giuseppe Grampa sarebbe daccordo con questa mia definizione, ma sono profondamente convinto (e oso ritenere che la mia convinzione non si discosti troppo dalla sua ispirazione di fondo) che vada respinta la deformazione etica insita in due atteggiamenti altrettanto pericolosi e anti-umani. Da un lato il nichilismo, secondo cui Se Dio non esiste, tutto e permesso , e dallaltro il fondamentalismo, secondo cui dato che (il mio) Dio esiste, tutto e permesso, in suo nome.

Entrambe le posizioni, apparentemente contrapposte, coincidono nel far cadere quel rispetto del limite il limite umano, il riconoscimento, per citare Levinas, del volto dellaltro senza il quale non vi e etica.

Giuseppe Grampa, in un libro che merita di essere letto e di stimolare riflessioni e dialogo, ci richiama invece, in pagine del piu puro umanesimo cristiano, a riconoscere il limite, ad ascoltare, ad apprezzare, a rispettare, a passare dalla violenza non solo alla tolleranza, ma alla virtu positiva del dialogo, dellamore. Di un amore che non e solo eros, (su questo il libro contiene una bellissima pagina dedicata al corpo, a un amore corporeo e sessuale che non e e non deve essere vissuto in contrasto alla spiritualita, ma assieme ad essa e nella sua luce come componente di una completa umanita ) ma anche filia, nella solidarieta e amicizia umana, e agape, quel sentimento di comunione che unisce chi condivide la stessa fede.

In sintesi, un libro profondo e perfettamente accessibile; ispirato da una profonda fede religiosa, ma capace di raggiungere e toccare intelletti e sensibilita anche al di la dell ambito di una fede condivisa; intellettualmente sofisticato e classico e nello stesso tempo di grande attualita. Un libro che abbiamo letto con interesse, e anche con profonda gratitudine.

Roberto Toscano - Ambasciatore d'Italia a Teheran