SOMMARIO
Editoriale
2 Marco Pavan
L’esperienza di Dio
In memoria di papa Francesco
5 Marco Gallo
Papa Francesco: la freschezza della liturgia
Studi
10 Loris Della Pietra
La liturgia, forma della fede e della chiesa
15 Laura Vedelago
La preghiera come forma liturgica in Romano Guardini
21 Luciano Manicardi
La liturgia e la Scrittura.
A servizio del dialogo tra Dio e il suo popolo
27 Sebastiano Bertin
La liturgia e le liturgie.
Tra rito identitario e rito indifferenziato
32 Domenico Cravero
Strumentalizzare la liturgia manipolare la preghiera
38 Giovanni Frausini
Preghiera personale e liturgia.
Un cuor solo e un’anima sola
44 Manuel Belli
Influenze digitali
49 Elena Massimi
Tempo per chi non ha tempo
55 Ubaldo Cortoni
La liturgia ha “fatto storia”?
Rito ed evoluzioni della società civile
Formazione
61 Alessandro Deho’
L’eco del genuinamente umano
3. La preghiera alla luce del Crocifisso
66 Norberto Valli
Spes non confundit
3. L’anniversario del concilio di Nicea
Asterischi
71 Noemi Beccaria
È possibile oggi formare i giovani alla preghiera?
77 Segnalazioni
Editoriale
Marco Pavan
L’esperienza di Dio
La liturgia è “fonte e culmine” della vita della chiesa, ma il rischio è che tra fonte e culmine non ci sia molto spazio. La liturgia dovrebbe “informare” la preghiera e la fede cristiana, ma non è detto che lo faccia: potrebbe essere semplicemente “conseguenza” della fede, “applicazione” delle convinzioni personali, “premio” di un agire morale, “premessa” e magari “impiccio” alla vita spirituale e alla preghiera («Dico il breviario e poi prego…»). La liturgia dovrebbe avere un urto sulla vita del credente, in particolare sulla sua preghiera. Ma anche viceversa. Se ciò non avvenisse, sarebbe un problema: quando una fonte alimenta solo se stessa diviene una palude. Questo numero della rivista si confronta con una questione che, in un modo o nell’altro, accompagna la storia della liturgia e della spiritualità cristiana fin dalle origini. Tale questione può essere formulata, in modo stringato, come segue: quale incidenza ha o può avere la vita liturgica sulla vita cristiana in generale? In che modo i due termini appena evocati – vita liturgica e vita cristiana – si intrecciano tra loro? Quale ambito influisce sull’altro e a quali condizioni? Tali questioni, per la verità, non si trovano solo in ambito cristiano e non è difficile dimostrare che emergono anche nelle manifestazioni dell’homo religiosus considerato in generale. A questo proposito, non si può non menzionare – anche per l’influenza avuta sullo sviluppo della teologia cristiana stessa – il rapporto non proprio disteso tra ricerca filosofica e prassi cultuale nella grecità classica oppure, all’interno della tradizione ebraica, quello tra l’attitudine dei gruppi legati al tempio di Gerusalemme e quella di altri orientati in un senso meno cultuale. Il rapporto tra vita liturgica e vita cristiana tocca tutti i punti sensibili di quest’ultima. Così, la verità della fede è chiamata in causa all’interno della celebre associazione tra lex orandi e lex credendi, ancora oggi uno dei criteri evocati quando si cerca di comprendere il rapporto tra rito e contenuto della fede stessa (fides qua). La preghiera personale o la vita spirituale sono spesso chiamate in gioco nei contesti in cui si sviluppano dei percorsi di formazione alla vita cristiana o alla vita religiosa, non raramente con l’intento di tenere insieme due poli (liturgia e preghiera personale, appunto) che, apparentemente, tenderebbero a muoversi su linee autonome. La questione etica emerge là dove si riflette sulla necessità che il rito e la vita sacramentale debbano “sfociare” o addirittura “piegarsi” al primato dell’amore del prossimo, in obbedienza alla stessa natura dell’eucarestia come sacramentum caritatis. Un altro punto, infine, è quello che riguarda la dimensione estetica o di educazione dei sensi spirituali che la liturgia è chiamata a promuovere nei credenti – un punto oggetto di particolare dibattito anche solo a partire dalle differenti interpretazioni date a formule ormai di uso comune quali quella della “nobile semplicità” che dovrebbe permeare le celebrazioni cristiane. Il modo in cui la liturgia plasma e non semplicemente influenza la vita cristiana può essere, quindi, visto da molte angolature, a partire dalle quali elaborare anche delle soluzioni pratiche. Tuttavia – e questo è un punto di grande importanza, a parere di chi scrive – non si dovrebbe mai perdere di vista il fatto che il punto di incontro tra l’ambito liturgico-ecclesiale e quello orante-personale è, in ultima analisi, Dio stesso o, per essere più precisi, l’“esperienza” di Dio. Questa semplice parola (“esperienza”) applicata in questo ambito evoca e apre davanti a sé un dibattito di grandi proporzioni. Un esempio di tale dibattito è la dottrina tradizionale dei sensi spirituali, il cui legame con la liturgia, a dispetto delle apparenze, è di grande importanza. È, infatti, in qualche modo patrimonio comune l’idea che la vita sacramentale, anche nel suo aspetto rituale, costituisca un ambito privilegiato di accesso alla bellezza divina e, per questo, una sorta di “scuola” per la costituzione dei sensi spirituali. Al di là delle scelte liturgiche specifiche e del dibattito o delle polemiche che spesso le accompagnano si è tentati di pensare che alcune categorie centrali nella vita di fede legate a quella di bellezza quali dono, gratuità, contemplazione, ascolto e rivelazione acquistino uno spessore ulteriore e necessario nel rito cristiano. Un certo rapporto tra liturgia, esperienza di Dio e bellezza emerge, poi, in molti passaggi della Scrittura. Così, nei salmi tale bellezza è rappresentata come una sorta di esperienza sensoriale di Dio stesso. È proprio nella liturgia che viene offerta e resa accessibile una certa esperienza di Dio che educa, illumina e trasfigura i sensi dell’uomo – una disciplina dei sensi spirituali vera e propria. Il nesso tra liturgia o forma rituale, rivelazione o esperienza di Dio e sensi spirituali non è, quindi, estrinseco o marginale. La vita e la prassi cristiana ricevono così una specifica forma che determina, appunto, il modo di pensare, agire e sentire. Nello sviluppo della prassi eucaristica e della disciplina dei sacramenti il legame tra questi tre elementi verrà declinato con accenti diversi e non senza tensioni, data la necessità di tenere insieme, per così dire, la dimensione sensibile della liturgia e l’idea di culto spirituale. Gli esempi si possono moltiplicare a piacere. Così, la semplicità delle liturgie cristiane è già affermata da Agostino in polemica con i complicati riti delle religioni precristiane. Nell’estetica agostiniana si trova un germe di quanto poi verrà sviluppato, in ambito monastico, da Bernardo di Chiaravalle († 1153), critico dell’estetica “barocca” cluniacense (essa stessa legata a una certa esperienza della presenza di Dio nel culto) e fautore di quel radicalismo quasi “aniconico” che avrà più di un’eco nella tradizione latino-occidentale successiva. Sulla sponda orientale, a Bisanzio, a parte l’enorme posta in gioco della controversia iconoclasta (forse mai compresa a fondo in Occidente), si può e si deve citare in particolare Nicola Cabasilas († 1391), autore del celebre trattato La vita in Cristo, in cui si legge che è l’eucarestia a rendere capaci di «pensare incessantemente al Cristo»: «A renderci capaci di compiere tutto ciò basterà quel pane che veramente fortifica il cuore dell’uomo: conferirà vigore allo sforzo e sradicherà dall’anima l’indolenza sul nascere». L’unione della spiritualità esicasta con la vita sacramentale è uno dei punti cardine dell’approccio di Cabasilas e un modo particolarmente denso di articolare tra loro preghiera e liturgia, dando a quest’ultima una funzione regolativa centrale nella crescita e nella strutturazione dei sensi spirituali.