Indice
Steven Battin – Michelle Becka
Leonel Guardado – Ludovic Lado, Editoriale
Abstracts
I. Ouverture
Klaus Günther, La punizione come elaborazione del mito
I/ La tenace presenza del mito
II/ Il persistere del mito della punizione nel sistema della giustizia penale di uno stato di diritto
III/ Un disincanto incompleto
IV/ Ciò che ancora attende un disincanto: l’immagine mitica del malfattore
II. Prigione e società
Katharina Leniger, La giustizia riparativa nel sistema correzionale. Prospettive di etica sociale su una particolare concezione di giustizia
I/ “Orientamento alla vittima” nel sistema correzionale come strumento di risocializzazione?
II/ Giustizia riparativa come principio normativo
III/ La giustizia riparativa nel sistema correzionale tedesco: un bel mondo nuovo?
Alex Mikulich, Prigioni come guerra.
Verso una teologia politica dell’abolizione rivoluzionaria
I / I “mondi della morte” del razzismo capitalista e coloniale statunitense
II / Nella stiva
III / “Suicidio rivoluzionario”: verso una teologia dell’abolizione rivoluzionaria
Mauricio Urrea Carrillo, Migrazione e incarceramento.
Aspetti destabilizzanti di una realtà messicana
I/ Le cifre messicane di un problema internazionale
II/ La via crucis attuale del migrante in America Latina
III/ I migranti nelle prigioni messicane: cause, situazione attuale
IV/ Destini di speranza nella notte oscura del presente
V/ Conclusione: diffidare dell’avidità e attivare la philoxenía
Rodolfo Cardenal, Il modello Bukele.
L’incarcerazione di massa
I/ Il modello Bukele
II/ Una nuova forma di male
III/ L’alienazione della volontà popolare
IV/ Il miraggio mortale dell’idolatria
III. Scritture, spiritualità, teologia e prigione
Wilfrid Okambawa, La prigione di Giovanni Battista, Gesù e Barabba.
Un’istituzione di saggezza o di follia
I/ Introduzione
II/ Breve esegesi di Mc 6,17-19; 14,43-51; 15,7; Mt 25,3 e 6,43: misura di saggezza diventata follia
III/ Teorie e pratiche della prigione: capovolgimento della saggezza e della follia
IV/ Conclusione
Stephanie Ann Puen – Marnie Racaza,
La Chiesa come ospedale da campo in un contesto di guerra alla droga.
L’incarcerazione nelle Filippine e i percorsi di cura alternativi
I/ Incarcerazione e guerra alla droga
II/ Percorsi di cura alternativi
III/ La Chiesa come ospedale da campo: le stazioni missionarie della diocesi di Caloocan
IV/ Conclusione
Juliette N’guémta Nakoye – Ludovic Lado, Il carcere come frontiera pastorale e teologica in Ciad
I/ Introduzione
II/ Il sistema carcerario del Ciad: tra violenza strutturale e biopotere
III/ Il ruolo del cappellano come mediatore e supporto spirituale
IV/ Il carcere come spazio di trasformazione
V/ Approcci critici: tra spiritualità e riforma strutturale
VI/ Conclusione
Francisco Javier Sánchez González, I centri penitenziari in Spagna. Il lavoro pastorale della cappellania cattolica
I/ Come sono le prigioni in Spagna?
II/ L’atteggiamento cristiano di fronte al mondo della prigione. L’azione delle capellanie nelle carceri
III/ Le azioni che abbiamo portato avanti nel carcere di Navalcarnero, a partire dalla cappellania
IV/ Papa Francesco riceve un gruppo di detenuti, familiari e volontari del carcere di Navalcarnero
V/ La persona privata della libertà non perde la sua dignità come persona Laurie Cassidy, Il caso degli “Angola 3” come risorsa per la spiritualità cattolica negli Stati Uniti
I/ Introduzione
II/ Dove sei?
III/ Non fare del male
IV/ Realizzare la libertà dentro e fuori
Forum teologico
Kimberly Hope Belcher, Riti emergenti, musei e risposte alla violenza
I/ Riti emergenti e scontri di violenza razziale
II/ Autoetnografia di due spazi museali
III/ Musealizzazione e pratiche rituali emergenti
Joachim Ozonze, «Ma com’è questa teologia?».
Fare teologia nel mezzo di una crisi legata alla droga
I/ «Allora, com’è questa teologia?»
II/ Una teologia della crisi della droga
III/ Fare teologia in una crisi di droga
IV/ Conclusione: Allora, com’è questa teologia?
Rassegna bibliografica internazionale
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Editoriale
Questo numero di
Concilium ha come tema centrale la realtà delle carceri. Per molti, le prigioni sono spazi che si aggirano ai confini dell’immaginario sociale. Da un lato, si tratta di luoghi che la maggior parte delle persone conosce poco, perché non ne hanno mai visto l’interno. D’altra parte, le prigioni sono molto presenti nei film e nei romanzi. Sono i telegiornali e la stampa a darci una visione quotidiana di ciò che accade in carcere, e spesso le notizie
non sono buone. Le carceri sono innanzitutto il luogo in cui si scontano le pene detentive. Sono quindi un’espressione etica e morale della consapevolezza che le persone devono assumersi la responsabilità delle proprie azioni. In caso di violazione della legge, l’inosservanza delle norme giuridiche viene punita. Oltre all’accettazione personale della responsabilità, la detenzione ha anche una funzione sociale, in quanto ha lo scopo di mostrare che ci sono conseguenze se non si rispettano le regole che sono necessarie per la convivenza sociale. Si può sostenere che ci sono buone ragioni per la detenzione. Si può anche dubitare di questa logica e schierarsi a favore dell’abolizione delle carceri, o pensare a delle alternative. Anche questo è giustificato e necessario. In questo numero di
Concilium ci concentriamo meno sulla questione fondamentale della legittimità delle carceri e più sulle carceri per come sono, su ciò che accade in esse e su come funzionano in diversi contesti sociali. È dalla realtà delle carceri che emerge una serie di riflessioni diverse. Vari principi normativi transnazionali per il sistema carcerario, come le Regole penitenziarie europee, affermano ciò che è necessario affinché la pena sia umana e dignitosa. La dignità umana viene violata quando le persone vengono trasformate in oggetti, ci ricorda Immanuel Kant, e in carcere sussiste il pericolo che le persone vengano trasformate in oggetti dell’azione dello Stato che se ne serve come deterrente, per dar prova di sicurezza e ordine e per stabilire la “pace sociale”. Per discernere correttamente questo pericolo, dobbiamo chiederci dove e quando inizia la violazione della dignità umana. Le società decenti, come ci ha insegnato Avishai Margalit, hanno istituzioni che non umiliano i loro cittadini. Quindi, la domanda che ci poniamo è se le nostre prigioni sostanzialmente umilino o rispettino la dignità umana. Le differenze nei sistemi penitenziari di tutto il mondo sono molto grandi, e anche le rispettive basi giuridiche differiscono notevolmente. Sebbene questo numero di
Concilium non possa affrontare tutte le differenze, esso propone una panoramica su diverse realtà, cerca di sollevare questioni pressanti e di fornire una critica costruttiva. Ad esempio, possiamo interrogarci sullo scopo e sulla funzione che le carceri hanno (dovrebbero avere), e se effettivamente corrispondono a questi obiettivi. In molti Paesi, un vecchio principio che risale al movimento di riforma carceraria della fine del XVIII secolo guida la legge attuale, affermando che la punizione non deve andare oltre la privazione della libertà, perché la privazione della libertà è già la punizione. Tutte le misure disciplinari e qualsiasi forma di punizione all’interno del carcere sarebbero quindi proibite. Ma la realtà è spesso diversa, perché la disciplina e persino l’umiliazione sono all’ordine del giorno. In alcuni Paesi, l’obiettivo della detenzione è la risocializzazione, mentre in altri non è un obiettivo né esplicito né implicito. Ma cosa costituisce la risocializzazione o l’integrazione? Funziona? In che misura la pena detentiva viene strumentalizzata e quali conseguenze – intenzionali o meno – ha questa strumentalizzazione? Chi ne trae beneficio? Questo fascicolo di
Concilium affronta alcune di queste domande e le concretizza con esempi specifici provenienti da tutto il mondo. Dal punto di vista teologico, le Scritture ci incaricano di far visita ai prigionieri, ma ancor più di proclamare loro la liberazione (
Lc 4,18). Mentre prendiamo in considerazione l’assistenza pastorale nelle carceri, che può fornire un grande sollievo ai detenuti, sorge la domanda se ogni miglioramento all’interno del sistema carcerario sia importante e necessario perché migliora la situazione dei detenuti, o se queste riforme aiutino solo a stabilizzare un sistema fondamentalmente ingiusto. Se partiamo dal presupposto che l’assistenza pastorale nelle carceri sia buona, in che modo la liturgia “incarcerata” apre nuovi orizzonti per la riflessione teologica su liturgia, sacramenti o rituali di guarigione e riconciliazione? Queste sono alcune delle domande e delle riflessioni teologiche che guidano questo fascicolo. Ma veniamo ai diversi contributi. In una sorta di
ouverture, il giurista e filosofo Klaus Günther (Germania) offre un approccio giuridico-filosofico al tema attraverso il mito della pena. La sua tesi è che il mito premoderno della punizione sia ancora presente, nonostante tutti i progressi dell’Illuminismo – anche nella prassi altamente formalizzata del diritto penale moderno. Sebbene ci siano stati dei processi di disincanto, questi processi non si sono del tutto conclusi. I successivi contributi provengono dal campo della teologia. Sono realizzati da diverse prospettive e punti di vista geografici, alcuni di natura più teorica e altri derivanti dalla pratica concreta. Si occupano in parte della dimensione sociale e in parte di vere e proprie questioni pastorali e teologiche. Katharina Leniger (Germania) riflette sul significato del concetto di “giustizia riparativa” per il sistema carcerario in Germania, evidenziandone opportunità e limiti. Risulta chiaro che alcune affermazioni della giustizia riparativa sono difficili o impossibili da realizzare in carcere. Alex Mikulich (Stati Uniti) vede le carceri come una parte basilare del capitalismo razziale statunitense. Tornando sulla rivolta della prigione di Attica del 1971, fa sua la richiesta e sollecita l’abolizione delle prigioni. Da una prospettiva etica, Mauricio Urrea Carrillo (Messico) presenta l’attuale rapporto tra migrazione e incarcerazione, concentrandosi sulla realtà del Messico. Indica l’importanza di coordinarsi tra persone, settori nazionali e comunità internazionale, al fine di fornire una risposta appropriata che metta al centro ospitalità e dignità umana. Il gesuita Rodolfo Cardenal (El Salvador) offre un’importante – e rara – visione del sistema penale di El Salvador e di come sia parte di un progetto molto più ampio di violenza istituzionalizzata contro i poveri che sta disumanizzando e alienando la società salvadoregna. Spiega perché il modello di Bukele è molto popolare e i pericoli che prefigura per il futuro del Paese e del suo popolo. Nel suo contributo, un altro gesuita, Wilfrid Okambawa (Camerun), riflette sui passi biblici relativi alla prigionia di Giovanni Battista, Gesù e Barabba, e mostra le motivazioni religiose e politiche alla base delle detenzioni. L’analisi porta a una riflessione sulla natura della prigione, non solo come luogo di punizione, ma anche di vita umana. Stephanie Ann Puen e Marnie Racaza (Filippine) presentano nel loro articolo come l’incarcerazione nel contesto della guerra alla droga continui a segnare la società filippina in modo indelebile, data la struttura del sistema giudiziario, la povertà e la cultura religiosa del Paese. Le autrici sottolineano il legame tra la nozione cristiana di peccato e l’incarcerazione, nonché i percorsi alternativi di cura sviluppati dalla Conferenza episcopale delle Filippine. N’guémta Nakoye e Ludovic Lado (Ciad) esaminano il significato della pastorale cattolica nel contesto carcerario del Ciad, caratterizzato da strutture di peccato. Da una prospettiva pastorale, il contributo mostra che le carceri in Ciad sono luoghi in cui le dinamiche sociali, pastorali e teologiche si intersecano, cosicché le prigioni diventano dei luoghi di confine pastorale. Francisco Javier Sánchez González (Spagna) affronta la richiesta non soddisfatta di reintegrazione nelle carceri spagnole e riflette sul ruolo dei cappellani carcerari in questo contesto. Di particolare rilievo sono i modi creativi con cui i cappellani accompagnano le persone private della libertà, condividendo la guarigione reciproca e l’umanità affettiva. Il contributo di Laurie Cass idy (Stati Uniti) esplora in modo perspicace il significato delle esperienze “non religiose” di trasformazione umana per la spiritualità cattolica. Basandosi sui racconti toccanti e potenti di tre detenuti afroamericani, Cassidy sfida la spiritualità cattolica a trovare un significato in queste esperienze di trasformazione. L’articolo si conclude con tre domande per un’ulteriore riflessione. Nella loro diversità, i contributi rivelano sfide centrali nel sistema penale e una notevole necessità di riflessione teologica. Nel Forum teologico, poi, si esplora l’utilità dei metodi etnografici per i teologi che riflettono sui modi in cui le comunità rispondono alla loro esperienza vissuta di violenza. Basandosi sull’impiego dell’autoetnografia nel suo lavoro con il George Floyd Global Memorial e il Minnesota African American Heritage Museum, Kim Belcher (Stati Uniti) esamina la pratica dei rituali emergenti che si sviluppano tra le comunità in incontri pluralistici, mentre creano spazi museali che costituiscono una risposta rituale alla violenza razziale negli Stati Uniti. Joachim Ozonze (Nigeria/Stati Uniti) riflette su delle modalità di descrivere la teologia che affrontino le sfide dell’incorporazione della metodologia etnografica in un progetto teologico, in particolare in risposta alla crisi legata alla metanfetamina in corso nel sudest della Nigeria.