Come si puņ sopravvivere ai capricci di cinque figli, che a turno hanno fame, sonno, problemi scolastici, crisi di gelosia, le scarpe sempre slacciate? A un cane con la dermatite e a una montagna di panni da lavare? E, soprattutto, come si puņ sopportare l'ininterrotto andirivieni delle infermiere nel corridoio di casa e gli sguardi di compatimento di chi sa (ma pare non voler capire) che, nella stanza accanto, tuo marito sta morendo? Ruth Fitzmaurice la risposta non ce l'ha. Non sa come possa continuare a superare difficoltą e amarezza quotidiane, eppure desidera raccontare una storia, la sua storia, che ha la forza straordinaria della veritą e dell'amore, mescolando i ricordi della sua vita felice «di prima», quando ancora non era stata diagnosticata a Simon la malattia del motoneurone, con le sue giornate impegnative «del dopo», quando č diventata moglie, mamma, amica e (suo malgrado) infermiera. «Mi innamorai delle mani danzanti di Simon, e adesso non si muovono pił. Le sue mani hanno smesso di ballare per sempre, ma le amo lo stesso. Le massaggio, le stringo, le adagio sui cuscini. Posso ancora assaporare la profonditą dei suoi occhi, ma la danza di quelle mani mi manca da impazzire» confessa. La ripetitivitą dei gesti amorevoli e strazianti di chi accudisce un malato terminale č interrotta ogni tanto dallo sguardo a un albero «speciale», da un caffč gustato in solitudine in giardino e, soprattutto, da una nuotata in mare, unico momento in cui i suoi pensieri diventano finalmente liberi e leggeri. Ma a spezzare davvero la routine soffocante sono le persone che trova ogni giorno accanto a sé: Marian dagli occhi che ridono, Aifric, saggia e imperturbabile, Michelle la guerriera, e naturalmente i figli, che le permettono di guardare in faccia il dolore e, insieme, di continuare ad amare la vita, nonostante tutto. Č questa la tribł che si č radunata per starle vicino e per darle modo di stare, a sua volta, vicino a Simon fino all'ultimo istante. Attraverso la scrittura Ruth riesce a raccontare di sé ciņ che neppure lei stessa, prima, avrebbe potuto immaginare: la paura di cedere al dolore, la tentazione di fuggire e di sottrarsi al destino, ma anche la scoperta di essere una donna forte, di quelle che sanno chiedere e ricevere aiuto. E quando si arriva d'un fiato all'ultima pagina di questo memoir davvero unico si ha l'impressione non solo che Ruth abbia trovato la sua tribł, ma che sarebbe davvero bello se ognuno di noi, in modi e per bisogni diversi, trovasse la propria.