Citazione spirituale

«La redenzione è gratuita»

-

Denaro, culto e corresponsabilità

 
di

De Sandre Italo

 


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EAN 9788825040494

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Descrizione
Tipo Libro Titolo «La redenzione è gratuita» - Denaro, culto e corresponsabilità Autore Editore Edizioni Messaggero EAN 9788825040494 Pagine 76 Data maggio 2015 Altezza 10,5 cm Larghezza 17,5 cm Collana Smartbooks
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Renato De Zan - Italo De Sandre




«La redenzione
è gratuita»
Denaro, culto
e corresponsabilità
Introduzione
Martín Carbajo Núñez

Postfazione
Fabio Scarsato
ISBN 978-88-250-4049-4
ISBN 978-88-250-4050-0' (PDF)
ISBN 978-88-250-4051-7' (EPUB)

Copyright © 2015 by P.P.F.M.C.
MESSAGGERO DI SANT'ANTONIO ' EDITRICE
Basilica del Santo - Via Orto Botanico, 11 - 35123 Padova
www.edizionimessaggero.it
Indice


Martín Carbajo Núñez
Introduzione.
Culto, denaro e modello di chiesa' . . . . . .  7
Renato De Zan
Il cultuale e l'economico nella Bibbia' . . .  21
1. Alcuni dati dell'Antico Testamento' . . . .  22
2. Alcuni dati dell'intertestamento' . . . . . . .  27
3. Alcuni dati del Nuovo Testamento' . . . . .  30
4. Un epilogo' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .  33

Italo De Sandre
Denaro, culto
e corresponsabilità religiosa' . . . . . . . . . . .  35
1. Religiosità e denaro' . . . . . . . . . . . . . . . . .  35
2. Il denaro: un codice di comunicazione
pervasivo e opaco' . . . . . . . . . . . . . . . . . .  38
3. Nel dono e nel mercato' . . . . . . . . . . . . . .  50
4. Denaro, culto, corresponsabilità
dell'appartenenza religiosa' . . . . . . . . . . .  61
5. Una risposta che apre domande' . . . . . . .  69

Fabio Scarsato
Postfazione.
L'effetto «papafrancesco»' . . . . . . . . . . . . . .  73


5
introduzione




Culto, denaro e modello
di chiesa
La pubblicazione che presento all'at-
tenzione dei lettori raccoglie due saggi che
riguardano il rapporto tra culto e denaro
nell'ambito della religione cattolica, a fir-
ma del biblista ed esegeta Renato De Zan
e del sociologo Italo De Sandre. Il profes-
sor De Zan nel suo contributo: Il cultuale e
l'economico nella Bibbia, spiega che questo
rapporto è tra i più delicati, difficili e am-
bivalenti in ambito biblico. Confermando
questa asserzione, faccio notare che il cul-
to è celebrazione dell'iniziativa redentrice
di Dio, assolutamente gratuita, mentre il
denaro è spesso associato a rapporti mera-
mente strumentali ed è perfino disprezzato

7
come «sterco del diavolo»1 e radice di tut-
ti i mali. Il tema è stato richiamato da papa
Francesco in una recente omelia2 che, co-
me ci ricorda il professor De Sandre nel suo
contributo: Denaro, culto e corresponsabili-
tà religiosa, «si è incentrata sull'importan-
za della gratuità dei servizi liturgici, contro
certi 'listini dei prezzi' delle messe e dei sa-
cramenti esposti in alcune parrocchie».
Oltre alla questione non banale di come
ogni fedele deve contribuire al sostenta-
mento della parrocchia, bisogna chiarire
il senso culturale che il denaro ha acqui-
sito oggi. Il denaro, afferma De Sandre, è
insieme una «cosa» concreta e uno dei co-
dici simbolici più importanti nella nostra
società. Di conseguenza, a mio parere, il
modo di guadagnarlo e di usarlo riflette un
determinato modello di chiesa3 e, in certa
misura, condiziona la percezione che si ha
1
Francesco, Meditazione mattutina Il potere del denaro
(20 settembre 2013), «L'Osservatore Romano» (OR) 216 (21
settembre 2013), 12; cf. J. Le Goff, Lo sterco del diavolo. Il
denaro nel Medioevo, Laterza, Roma-Bari 2010. «Non potete
servire Dio e la ricchezza» (Lc 16,13).
2
Francesco, Meditazione mattutina Chi scandalizza il
popolo (21 novembre 2014), «OR» 267 (22 novembre 2014), 7.
3
Sui modelli fondamentali di chiesa: A. Dulles, Modelli
di chiesa, EMP, Padova 2005.


8
della chiesa stessa. È vero che oggi la co-
munità ecclesiale insiste sempre più sulla
trasparenza ' infatti, sta crescendo il coin-
volgimento dei laici nell'amministrazione
parrocchiale ' ma concordo con il profes-
sor De Sandre nell'affermare che il codice
denaro non è stato ancora sufficientemente
articolato nella chiesa e spesso viene usato
come se i problemi a esso connessi fossero
irrilevanti. Questa opacità simbolica por-
ta alla deresponsabilizzazione dei fedeli e
rafforza la sfiducia circa le «ricchezze del
Vaticano» e l'uso che il clero fa del denaro.
Se il codice denaro è ridotto alla sua
componente strumentale-economica, al-
lora i «listini dei prezzi» continueranno a
provocare scandalo e crescerà il numero di
coloro che sono sempre pronti a mettere in
discussione qualsiasi contributo al sosten-
tamento della chiesa e dei suoi ministri.
Purtroppo, non sono mai mancati pure co-
loro che cercano di utilizzare l'offerta come
uno scambio di tipo magico, che avrebbe la
funzione di costringere la potenza divina
a venire incontro alle loro necessità. Se si
possono comprare perfino i favori divini,
allora il vero assoluto è il denaro e, di con-

9
seguenza, si mette in moto il meccanismo
della contrattazione sui prezzi.
Sulla scorta delle riflessioni messe a tema
dai due autori, si rende necessario ricupe-
rare la componente relazionale del denaro,
quel senso antropologico e simbolico che
lo lega a un sano rapporto interpersonale,
al dono e alla gratuità. A mio parere questo
è un tema di vitale importanza. In questa
prospettiva, ogni scambio di beni mate-
riali è inseparabile dai beni relazionali e la
propor­ ionalità prevale sull'equivalenza. La
z
gra­ uità, infatti, non si riduce ad assenza di
t
ricompensa (gratis, costo zero): esige an-
che una motivazione interna positiva che
sia espressione di libertà e di apertura all'in-
contro interpersonale. Se viene a mancare
questo fattore relazionale, si potrà parlare di
altruismo, beneficenza, filantropia, ma non
di gratuità; sarà un agire per gli altri, ma non
con gli altri; creerà dipendenza, umiliazio-
ne, ma non reciprocità né autentica relazio-
ne4. Diceva Tacito che i doni sono benve-
nuti purché possano essere corrisposti. Se
4
Per un più ampio sviluppo di queste idee cf. M. Car-
bajo Núñez, Economia francescana. Una proposta per uscire
dalla crisi, EDB, Bologna 2014.


10
sono troppo grandi, invece di gratitudine
genereranno odio5. L'uguaglianza e l'equi-
valenza non devono essere matematiche;
è sufficiente che i beni relazionali in gioco
compensino la differenza esistente tra i doni
scambiati. I beni materiali sono importanti,
ma il bene più desiderabile è la relazione
con l'Altro e con gli altri, lo «stare con» (in-
ter-esse), anche in parrocchia. Infatti, nul-
la di materiale o formale «può assicurare
l'essenziale di cui l'uomo sofferente ' ogni
uomo ' ha bisogno: l'amorevole dedizione
personale»6.
Nella logica cristiana della gratuità, i «li-
stini dei prezzi» non hanno senso se indi-
cano uno scambio mercantile ben definito
di un bene/servizio cultuale a fronte di una
quantità precisa di denaro (equivalenza);
peggio ancora se lo scambio si fa in modo
impersonale («ti pago e basta»). Non si può
negare che i servizi liturgici comportano
delle spese e, quindi, è normale che i fede-
5
Publio Cornelio Tacito, Annali, cit. in P.L. Sacco - S.
Zamagni (edd.), Teoria economica e relazioni interpersonali,
Il Mulino, Bologna 2006, 35.
6
Benedetto XVI, Lettera enciclica Deus caritas est (25
dicembre 2005), n. 28, «Acta Apostolicae Sedis» (AAS) 98
(2006), 217-252.


11
li coinvolti garantiscano un loro compen-
so, ma il contributo monetario non deve
essere espressione di una stretta logica
dell'equivalenza, bensì di corresponsabilità
e di donazione (proporzionalità). In que-
sta prospettiva relazionale, lo scambio è di
tipo simbolico, giacché esprime e rafforza la
consapevolezza di appartenere alla comu-
nità ecclesiale: ognuno dà liberamente e ge-
nerosamente nella misura in cui può farlo,
indipendentemente dalla somma che può
essere proposta a titolo indicativo, perché
la proporzionalità prevale sull'equivalenza.
Pertanto, piuttosto che di «prezzi» sarebbe
meglio parlare di «offerte».
Papa Francesco ha messo in rilievo l'im-
portanza che l'attuale società mediatica at-
tribuisce ai gesti, alla vicinanza affettuosa e
alla trasparenza. Nel mondo segnato da in-
ternet e dalle reti sociali, infatti, la comuni-
cazione è piuttosto orizzontale, interattiva.
Le persone hanno sete di autenticità, di una
«vicinanza reale e cordiale»7, che è testimo-
nianza di genuina povertà cristiana. «Come

7
Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium
(24 novembre 2013) (EG), n. 199, LEV, Città del Vaticano 2013.


12
vorrei una chiesa povera e per i poveri!»8,
dichiarava il papa, davanti ai giornalisti,
all'inizio del suo ministero petrino, mentre
spiegava perché aveva scelto per sé il nome
del Poverello d'Assisi. Confermando ancora
una volta la propria scelta, in un'altra occa-
sione affermava:
A me piace ricordare quello che san Francesco
di Assisi diceva ai suoi frati: «Predicate sem-
pre il Vangelo e, se fosse necessario, anche con
le parole». Le parole vengono' ma prima la
testimonianza9.

Alla luce di questi ammonimenti, risul-
ta chiaro che non basta essere onesti, ma
che bisogna renderlo visibile con il pro-
prio modo di presentarsi e di agire, specie
quando si tratta di soldi. Infatti, afferma il
papa, «ci sono due cose che il popolo di Dio
non può perdonare: un prete attaccato ai
soldi e un prete che maltratta la gente»10.

8
Francesco, Discorso ai rappresentanti dei Media (16
marzo 2013), «OR» 64 (17 marzo 2013), 1.
9
Francesco, Discorso ai partecipanti al Congresso in-
ternazionale sulla catechesi (27 settembre 2013), «OR» 223
(29 settembre 2013), 8; cf. Id., Omelia per la III domenica di
Pasqua (14 aprile 2013), n. 2, «OR» 88 (15/16 aprile 2013), 8.
10
Francesco, Chi scandalizza il popolo.


13
Le persone di fede profonda non diventa-
no «affariste», perché sperimentano ogni
giorno l'amore di Dio, totalmente gratuito
e disinteressato, e quindi si abbandonano
alla provvidenza e confidano nella solidarie-
tà della comunità cristiana (cf. Mt 6,25-34).
La funzione e il significato delle offerte
dei fedeli diventano trasparenti e compren-
sibili se e quando i fedeli agiscono come
membri attivi dell'unico popolo di Dio. Nel
modello di chiesa prospettato più volte da
papa Francesco, essa «è ben più di un'isti-
tuzione organica e gerarchica» (EG 111),
perché è, prima di tutto, un popolo santo,
che «non può sbagliarsi nel credere»11. Di
conseguenza, il vescovo, in alcune circo-
stanze, «dovrà camminare dietro al popolo
['] perché il gregge stesso possiede un suo
olfatto per individuare nuove strade» (EG
31). Tutti i battezzati formano un'unità sa-
cramentale e condividono attivamente la
responsabilità nel mondo. Pertanto la par-
rocchia deve essere la comunità delle co-
munità, un ambito di viva partecipazione

11
Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen
gentium (21 novembre 1964), n. 12, «AAS» 57 (1965), 5-71.


14
(cf. EG 28). Il parroco dovrà accompagnare
la comunità cristiana nel continuo impegno
di elaborare insieme le risposte alle sfide di
ogni giorno, anche a quelle economiche.
In realtà, tutte le strutture e le espressioni
della chiesa devono essere segno visibile di
comunione e comunicazione, in modo che
«tutti possano sentirsi accolti, amati, perdo-
nati e incoraggiati a vivere secondo la vita
buona del Vangelo» (EG 114).
Il riferimento fatto da papa Francesco
al Poverello d'Assisi ha una motivazione
storica molto ricca, anche riguardo al va-
lore simbolico del denaro. Infatti, il tipo
di relazioni impersonali che il papa critica
(«ti pago e basta»), basate esclusivamente
sul calcolo monetario, stava cominciando
a emergere ai tempi di Francesco d'Assisi
(1181-1226), con il progressivo indeboli-
mento dei legami che univano l'individuo
alle corporazioni medievali. In quel conte-
sto sociale, sempre più anonimo ed efficien-
tista, l'ex commerciante d'Assisi rinuncia al
denaro e alla mentalità che tutto riduce a
merce oggettivabile, misurabile, interscam-
biabile. Aveva capito che il denaro occulta il
vero valore di ogni cosa, che va molto oltre

15
il suo ammontare monetario. Egli, invece,
vuole imitare la kenosis di Cristo e identifi-
carsi con i più poveri della società, che non
venivano ricompensati con denaro per il
loro lavoro. Il suo gesto è pervaso da una
chiara motivazione teologica e relazionale:
tutto è buono, ma niente deve allontanar-
ci da Dio ' sommo bene ' e dall'incontro
affettuoso con i fratelli. Non bisogna accu-
mulare: Dio provvede. Libero da qualsiasi
avidità o interesse di gruppo, potrà amare
tutti senza prevenzioni.
Nei secoli XIII-XV i suoi seguaci sono
consapevoli del valore simbolico del denaro
e continuano ad abbracciare la povertà più
radicale, ma non la propongono come via
comune, perché improduttiva. Stando tra la
gente, con una presenza amichevole, i frati
cercano di aiutare tutti in modo persona-
lizzato e non hanno paura di «sporcarsi le
mani» con le questioni economiche pur di
aiutare le persone che erano sfruttate dagli
usurai. Rinunciando al denaro, i frati mo-
strano che solo Dio è la somma ricchez-
za; aiutando i poveri a ottenere i crediti
monetari manifestano che nessun ambito
della realtà è per loro alieno al piano sal-

16
vifico di Dio. Di fatto, i frati sono riusciti
a dare un contributo «decisivo alla nascita
della moderna economia di mercato»12, a
promuovere istituzioni finanziarie come i
Monti di Pietà, che cercano la redenzione
sociale del povero moderato che può es-
sere ancora industrioso e, infine, a creare
opere di sostegno sociale (ad esempio, il
«Pane di sant'Antonio») a favore di quelli
che non possono provvedere neppure alla
propria sussistenza fisica. La loro posizione
contrasta con quella di Dante (1265-1321),
Boccaccio (1313-1375) e molti altri letterati
e umanisti di allora, che disprezzavano la
nuova economia monetaria e rimpiangeva-
no la vita rurale delle epoche precedenti13.
Il denaro, le offerte e tutto ciò che faccia-
12
L. Bruni, Il prezzo della gratuità, Città Nuova, Roma
2006, 14. Bisogna distinguere tra economia di mercato ed
economia capitalista. Cf. M. Carbajo Núñez, Monti di pietà
ed etica economica. Il contributo francescano, «Studi Fran­
cescani» 106 (1-2/2009), 187-210, qui 193. Il frate che ha con-
tribuito maggiormente a delineare le basi teoriche della
nuova economia, Pietro di Giovanni Olivi (1248-1298), è sta-
to pure uno dei più radicali nell'abbracciare e nel proporre
ai frati la povertà. Le sue idee per la vita dei frati furono
condannate come troppo rigoriste nel capitolo generale
francescano del 1282 (cf. ivi).
13
O. Bazzichi, La dottrina economica della scolastica
francescana, «Miscellanea Francescana» 3-4 (2003), 631-644,
qui 640.


17
mo hanno un senso se sono espressione di
una risposta amorosa e gratuita a Dio e ai
fratelli. Nell'intento di invitare a recupera-
re questo senso e a rendere a Dio un culto
gradito, mi piace ricordare una preghiera
del beato Paolo VI, pronunciata quando era
ancora cardinale di Milano:
Francesco, aiutaci a purificare i beni econo-
mici dal loro triste potere di perdere Dio, di
perdere le nostre anime, di perdere la carità
dei nostri concittadini.
Vedi, Francesco, noi non possiamo estraniar-
ci dalla vita economica, è la fonte del nostro
pane e di quello altrui; è la vocazione del no-
stro popolo, che sale alla conquista dei beni
della terra, che sono opere di Dio; è la legge
fatale del nostro mondo e della nostra storia.
È possibile, Francesco, maneggiare i beni di
questo mondo, senza restarne prigionieri e
vittime' È possibile conciliare la nostra ansia
di vita economica, senza perdere la vita del-
lo spirito e l'amore' È possibile una qualche
amicizia fra Madonna Economia e Madonna
Povertà' O siamo inesorabilmente condanna-
ti, in forza della terribile parola di Cristo: «È
più facile che un cammello passi per la cruna
di un ago che un ricco entri nel regno di Dio'»
(Mt 19,24). [']

18
Così insegnaci, così aiutaci, Francesco, a
essere poveri, cioè liberi, staccati e signori,
nella ricerca e nell'uso di queste cose terrene,
pesanti e fugaci, perché restiamo uomini, re-
stiamo fratelli, restiamo cristiani14.

Martín Carbajo Núñez, ofm




14
G.B. Montini, Discorso nella basilica di San France-
sco (Assisi, 4 ottobre 1958), «Rivista Diocesana Milanese»
47 (1958), 491-493.


19
Renato De Zan



Il cultuale e l'economico
nella Bibbia
Il legame tra il culto e il denaro è tra i rap-
porti più delicati, difficili e ambivalenti che
si possano trovare in ambito biblico1. Da una
parte, si trovano le disposizioni veterotesta-
mentarie di Dt 18,1-5 circa il sostentamento
di coloro che sono deputati al culto; disposi-
zioni che sono echeggiate in qualche modo

1
Più che dare una bibliografia, ritengo sia cosa più
adatta a queste righe offrire una serie di titoli che l'autore
ha consultato: O. Bulgarelli, Il denaro alle origini delle ori-
gini, Spirali, Milano 2001; R. De Vaux, Le istituzioni dell'An-
tico Testamento, Marietti, Torino 1964, 343-345; 372-374; 393-
395; E. Schürer, Storia del popolo giudaico al tempo di Gesù
Cristo, vol. 2, Paideia, Brescia 1987, 318-339; G. Bornkamm,
''''''', in G. Kittel - G. Friedrich (edd.), Grande Lessico del
Nuovo Testamento, vol. 11, Paideia, Brescia 1977, 81-164; A.E.
Harvey, «The Workmann is Worthy of His Hire». Fortunes of
a Proverb in the Hearly Church, «Novum Testamentum» 24
(1982), 214-216; G. Schöllgen, Die ''''' ''µ' von 1Tim 5,17,
«Zeitschrift für die Neutestamentliche Wissenschaft» 80
(1989), 232-239; D. Sperber, Roman Palestine 200-400. Money
and Prices, Bar-Ilan University Press, Ranat-Gan 1991.


21
anche nel Nuovo Testamento in 1Tm 5,17.
Dall'altra, si trovano nel Nuovo Testamen-
to le raccomandazioni dell'autore sacro nei
confronti dei responsabili della comunità
che sono chiamati a esercitare il loro com-
pito «non per vergognoso interesse ma con
animo generoso» (1Pt 5,2); animo generoso
che non può accettare «guadagni disonesti»
(1Tm 3,8; Tt 1,7) né può pretende di «com-
perare» il dono dello Spirito Santo (cf. At
8,18-20). In modo molto riassuntivo ' e per-
ciò né analitico né completo ' viene affron-
tato il tema nell'Antico Testamento, nell'in-
tertestamento e nel Nuovo Testamento.

1. Alcuni dati dell'Antico Testamento
Esiste nel mondo veterotestamentario
un'espressione strana per indicare l'inve-
stitura sacerdotale di un individuo. Nel li-
bro dei Giudici si dice che Mica «riempì la
mano» prima a uno dei suoi «figli» che «fu
per lui un sacerdote» (Gdc 17,5) e successi-
vamente fece altrettanto con un levita (Gdc
17,10-12).
a) L'espressione «riempire la mano» sem-
brerebbe che indicasse in origine l'ammon-

22
tare dell'ingaggio2. Solo in epoca più tardiva
l'espressione perse il significato originario
e ne assunse uno di tipo più cultuale. «Ri-
empire la mano» significò «consegnare in
mano per la prima volta al sacerdote gli
elementi del sacrificio» (cf. Es 29,22-25; Lv
8,22-33). Il nuovo significato, però, si trova
in una buona parte dei casi in testi sacer-
dotali (cf. Es 28,41; 29,9-35; Lv 33; 16,32;
21,10; Nm 3,3). Ciò starebbe a indicare,
forse, che il sacerdote veniva investito del
suo ruolo3 mentre esercitava per la prima
volta la sua funzione cultico-sacerdotale.
In epoca pre-monarchica, dunque, sembra
che il sacerdote venisse «stipendiato» per
il suo ruolo. Accanto a questa prassi, ne
esisteva una seconda. Dall'episodio narrato
in 1Sam 2,12-17 si deduce che il sacrificio

2
Questa interpretazione si fonda sui testi di Mari, dove
l'espressione «riempire la mano» indica il bottino di guerra
al quale hanno diritto gli ufficiali: cf. M. Delcor, ml' - esse-
re pieno, riempire, in E. Jenni - C. Westermann, Dizionario
dell'Antico Testamento, vol. 1, Marietti, Torino 1978, 773-776;
De Vaux, Le istituzioni dell'Antico Testamento, 344.
3
Si ricordi che nell'Antico Testamento il sacerdote di-
ventava tale non per vocazione, ma per appartenenza gene-
alogica (cf. la tribù di Levi: Lv 21,16-24) oppure per scelta
d'autorità (gli abitanti di Qiryat-Yearim scelgono Eleazaro
per la custodia dell'arca: 1Sam 7,1; i re scelgono i sacerdoti
dei santuari regi: 1Re 2,27; 12,31).


23
consistesse nell'offrire il «grasso» della vit-
tima al Signore. Dopo di che, era concesso
al servo del sacerdote asportare una parte
della carne cotta. Questa prassi sembra sia
comparsa in epoca monarchica. Proprio
in questa epoca l'espressione «riempire la
mano» perde il significato originario per as-
sumere definitivamente quello cultuale. Le
testimonianze dicono che il sovrano stabili-
va che cosa togliere dall'intero ordinamento
sacrificale per donarlo al clero. Tra la fine
del secolo IX e l'inizio del secolo VIII, infatti,
sotto il regno di Joas di Giuda, veniva desti-
nato ai sacerdoti «il denaro dei sacrifici per
il delitto e per il peccato» (2Re 12,17). Nel
secolo VIII Osea testimonia che nel regno
del Nord il clero viveva dei sacrifici dei fede-
li (cf. Os 4,8) secondo una disposizione che
diventerà legge in epoca deuteronomista (cf.
Dt 18,1-5). Sempre in epoca deuteronomi-
sta vengono codificate le leggi che riguar-
dano gli olocausti e i sacrifici, le decime,
quello che le mani potranno prelevare, le
offerte votive e le offerte volontarie e i pri-
mogeniti del bestiame grosso e minuto (cf.
Dt 12,6). In tutte queste offerte si compirà
un atto di convivialità festosa (cf. Dt 12,7).

24
Nell'atto conviviale, legato al culto e obbli-
gatoriamente compiuto presso il tempio di
Gerusalemme (cf. Dt 12,17-18), è coinvolto
anche il levita (Dt 12,12; cf. Dt 26,11).
Accanto a questa legge cultica del coin-
volgimento conviviale del levita, esisteva
anche la legge delle decime (cf. Dt 14,28-
29; cf. Dt 26,12-15). In breve: il sacerdote
(levita) riceveva ogni tre anni la decima
dei frutti. Forse riceveva annualmente il
«meglio» (re'jît) del frutto dei campi (cf. Dt
18,4). Nei sacrifici aveva diritto a certe parti
precise della vittima (cf. Dt 18,3) e, durante
la tosatura delle pecore, era sua la prima
lana (cf. Dt 18,4).
b) La codificazione sacerdotale è molto
più generosa verso il sacerdote. Nello stesso
atto di culto c'è la ricompensa per il sacerdo-
te (cf. Nm 18,8-32; Lv 1-7). Erano sue le of-
ferte dei sacrifici per il peccato, dei sacrifici
di riparazione, delle oblazioni e tutte le cose
consacrate con un voto (cf. Nm 18,14). A lui
apparteneva il «meglio» (re'jît) dell'olio, del
vino e del grano (cf. Nm 18,12), le primizie
(cf. Nm 18,3), la decima4, i primogeniti del
4
Di questo cespite, nove parti erano destinate ai leviti e
una parte al sacerdote (cf. Nm 18,20-32).


25

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