PREFAZIONE
Sono lieto di presentare questo lavoro di don Giovanni Giavini, non solo per la nostra vicendevole amicizia, ma soprattutto per l’indubbia utilità che esso riveste a livello di introduzione semplice ma aggiornata alla problematica dei Vangeli.
È ben noto che proprio in questi ultimi tempi il caso-Gesù è passato in primo piano (potremmo dire: finalmente!) anche negli interessi della cosiddetta cultura laica. Era da tempo che il maestro/profeta di Nazaret, al livello di una più ampia cultura popolare, non suscitava una così grande attenzione, favorita dalla forza mediatica della stampa d’intrattenimento, del cinema e della televisione. Per la verità, in duemila anni di cristianesimo, all’interno della chiesa non si è mai pensato di far evaporare la figura di Gesù nell’astrazione del mito, visto che la ripetuta confessione «Patì sotto Ponzio Pilato», pronunciata nel Credo, ha sempre richiamato i cristiani al realismo della storia, anzi della ‘sua’ storia.
Semmai, se c’è una novità nelle ultime produzioni di marca non esattamente credente, è il tentativo di operare un distanziamento, se non un divorzio, fra un ipotizzato Gesù della storia e il Cristo della fede ecclesiale. Intendiamoci, questa distinzione, nata sul finire del 1800, non è stata coniata al di fuori della chiesa ma nient’altro che in casa cristiana, anche se avrebbe bisogno di alcune precisazioni (infatti, si potrebbe altrettanto parlare di un Cristo della storia e di un Gesù della fede, come del resto ha fatto un autore americano una decina d’anni fa). In ogni caso, la fede cristiana in quanto tale non ha mai disgiunto i due livelli dell’identità di Gesù-Cristo. Ciò significa che ogni ricerca sulla dimensione storica di lui è necessaria e quindi fondamentalmente benvenuta.
A una doppia condizione: che cioè una tale ricerca sia ben consapevole dei limiti propri di ogni ricostruzione storiografica, e che non si trascuri la fede ecclesiale di cui il racconto evangelico di quel personaggio è intriso. La prima condizione invita a dispiegare una metodologia guardinga, anzi semplicemente onesta, dato che, secondo le più recenti acquisizioni scientifiche, le ricostruzioni storiche hanno sempre un tasso di soggettività; la seconda condizione, poi, ricorda al ricercatore che non è mai esistito un Gesù al di fuori del gruppo che a lui- crocifisso! - si richiamava addirittura come proprio Signore. È ben evidente, infatti, che non Erode, non Caifa, non Pilato, ma neppure gli storici latini Tacito o Svetonio, che pur ce ne danno una notizia essenziale, si sono mai interessati a raccontare la sua vicenda, mentre paradossalmente hanno fatto questo soltanto coloro che hanno creduto in lui. D’altronde, non risulta che mai nessuno abbia invocato come Signore il nome di qualche altro grande Rabbi ebreo, come R. Hillel, R. Johanan ben Zakkai, o R. Aqibà, mentre nel nome dell’ebreo Yehoshua di Nazaret da duemila anni si vive e si muore!
Una cosa è certa: senza i Vangeli non è possibile ricostruire la vicenda terrena di Gesù. Questo non significa che i fatti da lui vissuti e le parole da lui pronunciate vi si trovino allo stato puro. Ciò che intriga la ricerca (e la fede) è proprio il tentativo di risalire, al di là della redazione scritta, fino alla fase degli avvenimenti realmente accaduti. Come dunque non è possibile sceverare la fede dalla storia, altrettanto non è possibile disgiungere la storia dalla fede.
Il libro di Giavini è un aiuto validissimo per compiere questa operazione. Le sue pagine sono frutto di una competenza maturata a lungo nello studio e nell’insegnamento, e insieme di una passione che gli proviene non solo dalla fede cristiana ma anche da una responsabilità pastorale e catechistica di timbro schiettamente ecclesiale. Gli auguro perciò una fruttuosa incidenza sulla conoscenza e sulla vita di molti, non solo cristiani.
Romano Penna