Nell’anagrafe di Dio sono iscritti tutti i giusti della terra, a qualunque epoca e popolo appartengano. C’è un’alleanza in Abramo e in Mosè, c’è un’alleanza nuova in Cristo, ma prima ancora c’è un’alleanza in Noè: un’alleanza cosmica, che Dio stringe con tutta l’umanità. Ecco perché gli orizzonti della salvezza non si possono imprigionare nelle nostre ristrette vedute! Prende qui forma una grandiosa lettura trasversale dei testi biblici, che li intreccia con la letteratura antica e con quella patristica, e ne trae tesori di sapienza, sorprendentemente attuali. Sì, ci sono stati – e ci sono tuttora! – dei santi fra i pagani, fra chi ignorava il Dio di Mosè e il Padre di Gesù Cristo: Abele, Enoc, Daniele, Noè, Giobbe, Melchìsedek, Lot, la regina di Saba.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
Prefazione all’edizione italiana di GIANFRANCO RAVASI
«Iscriverò Rahab (Egitto) e Babilonia come miei conoscenti: ecco Filistea, Tiro ed Etiopia: tutti costoro a Sion sono nati! Il Signore registrerà nel libro dei popoli: Costui là è nato!». Queste parole del Sal 87 (vv. 4.6) evocano un’ideale anagrafe divina, depositata nella città santa della rivelazione biblica, Gerusalemme: in essa sono iscritti tutti i giusti della terra, egiziani e babilonesi, palestinesi ed ebrei, libanesi e africani. È un po’ sul filo poetico e spirituale di questo inno che possiamo percorrere questo stupendo volume del cardinal Daniélou, apparso nel 1956 e pubblicato per la prima volta in versione italiana nel 1964. Si tratta di un testo originale e intenso che conserva intatti tutto il suo rigore e la sua forza di provocazione, soprattutto contro l’insorgere di nuove forme di integrismo, contro il risorgere di autarchie cultuali e spirituali, contro l’irrompere dei venti gelidi del l’intolleranza. Senza inciampare nello scoglio opposto del sincretismo, Daniélou sfoglia quel l’anagrafe santa di Sion alla ricerca di nomi né ebrei né cristiani, di figure apparentemente estranee al l’alleanza di Abramo e di Cristo eppure presenti in quel grande e supremo “martirologio” in cui sono registrati, accanto ai «centoquarantaquattromila di ogni tribù dei figli di Israele», anche tutti i membri di quella «moltitudine immensa ed in-numerabile di ogni nazione, razza, popolo e lingua» (Ap 7,4.9).
Alla base di questa appartenenza al libro della vita di Dio c’è quella che Daniélou chiama la «religione cosmica» (locuzione giustamente preferita al l’ambigua e più classica «religione naturale»): essa ha una sua rivelazione – che potremmo definire “adamica” perché destinata ad ogni ’dhm, “uomo” – e una sua liturgia esaltata, per esempio, dal cantico dei tre giovani di Dn 3 e dal corale del Sal 148 in cui tutto l’alfabeto dell’essere (ventidue creature) celebra il Creatore. La Bibbia stessa ha la coscienza del l’esistenza di una rivelazione “adamica e cosmica”. Basterebbe solo contemplare il dittico luminoso su cui è strutturato il Sal 19: alla rivelazione del “sole” della tórah, i cui «comandamenti sono radiosi e illuminano gli occhi» (v. 9), si accosta la rivelazione del sole che regge il ritmo del creato. Infatti «i cieli narrano la gloria di Dio, il firmamento annunzia l’opera delle sue mani, il giorno al giorno affida il messaggio, la notte alla notte ne trasmette la conoscenza, senza discorsi e senza parole, senza che si oda alcun suono; eppure la loro voce si espande su tutta la terra» (vv. 2-5).
Ancor più netta è la dichiarazione del libro della Sapienza: «Dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si conosce l’autore» (13,6). Paolo riprenderà il motivo nella Lettera ai Romani: «Dalla creazione del mondo in poi, le perfezioni invisibili di Dio possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità» (1,20). I discorsi paolini di Listra e Atene (At 14,15-17; 17,25-27) non faranno che ribadire questa convinzione, pur nella certezza che questa rivelazione – come scrive H. Schlier – ha per l’Apostolo qualcosa di “crepuscolare” rispetto allo sfolgorare della rivelazione positiva e diretta.